
di Giuseppe Rigobello
In questo anno sfortunato l’epidemia ha aperto il vaso di Pandora su alcune realtà del mondo del lavoro che, anche se accantonate dall’ideologia neoliberista e manageriale degli ultimi decenni, si sono imposte nel dibattito pubblico. Banalità, certo, perché consciamente o inconsciamente sapevamo già, le vivevamo già sulla nostra pelle. E allora avanti con un bel ripassone!
Ecco dunque una lista, senza alcuna pretesa di esaustività, sulle cose che abbiamo (re)imparato:
- Che le professioni essenziali sono spesso anche quelle meno retribuite.
- Che c’è una differenza tra chi può svolgere il proprio lavoro da casa e chi deve per forza andare sul posto di lavoro nel mezzo di una pandemia.
- Che comunque anche lo smart working non è una passeggiata. Va regolamentato attraverso i contratti collettivi.
- Che il lavoro nero legalizzato attraverso i contratti iper precarizzanti è criminale e ha impedito a molte di persone di ricevere i sussidi dello stato di cui avevano diritto.
- Che a Confindustria interessano solo i profitti, non le persone e la loro salute.
- Che per fortuna i sindacati (e anche molto lavoratori autonomamente attraverso scioperi spontanei) a marzo hanno chiesto a gran voce la chiusura delle attività non essenziali.
- Che chi ha un patrimonio maggiore di 500.000 euro in verità è classe media. Poracci.
- Che gli artisti e gli operatori culturali sono dei professionisti. Vanno pagati e tutelati.
- Che medici e infermieri oggi sono eroi ma ieri erano una cassa su cui effettuare tagli. Domani chissà.
- Che le misure di sicurezza sul posto di lavoro sono fondamentali.
- Che in molte famiglie la casa non è un luogo sicuro, ma una prigione.
- Che a isolare per primi il virus sono stati dei ricercatori e delle ricercatrici precarie.
- Che come al solito in una crisi a pagare sono soprattutto le lavoratrici.
Molte di queste problematiche ho avuto modo di toccarle con mano, in primo luogo essendo anche io un lavoratore (essenziale, pare), ma soprattutto perché in questo anno così particolare a Porto Burci abbiamo dato vita allo Sportello Primo Soccorso Lavoro, proprio per offrire un aiuto a lavoratrici e lavoratori in difficoltà.
Spesso, dopo una risposta tecnica sulla particolare questione che mi era stata sottoposta, concludevo con: “ti consiglio di rivolgerti al sindacato di categoria”. Perché lo sportello può dirti qual è il problema del tuo contratto, quale diritto ti è stato negato, ma chi può cercare di risolvere la questione è ovviamente il sindacato. E allora mi sento di suggerire una buon proposito per il nuovo anno: aderiamo ad un sindacato. Se è legittimo aspettarsi qualcosa di meglio dal prossimo anno, non possiamo pretendere che questo derivi solo da un vaccino, ma anche dalle nostre forze che, unite, possono provare a cambiare una realtà che il virus ha solamente svelato.
Lo sportello è tutt’ora attivo: contrattaci alla mail primosoccorso.lavoro@gmail.com o al numero 3497805533