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Alcuni spunti dalle legislative francesi

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In queste due settimane, tra primo turno e relativi ballottaggi, si sono tenute le elezioni legislative in Francia per eleggere l’Assemblea Nazionale, Camera in cui il Governo sarebbe bene avesse la maggioranza per poter operare e promuovere le proprie riforme. Quando questo non accade, si ha la cosiddetta “coabitazione”, e la maggioranza di governo si trova a fare i conti con un’Assemblea in mano alle opposizioni.

Proprio per limitare questa eventualità nel 2002 si è deciso di limitare la durata del mandato del Capo dello Stato a 5 anni, da 7 che era, in linea con l’Assemblea Nazionale, le cui elezioni quindi sono iniziate a cadere poche settimane dopo le presidenziali, rendendole di fatto una conferma di queste. 5 anni fa, per l’appunto, Macron non ha avuto alcun problema a ottenere la maggioranza nell’Assemblea Nazionale dopo aver vinto le elezioni poche settimane prima. Quest’anno, però, pur avendo vinto nuovamente le Presidenziali con una discreta facilità, è accaduto l’imprevedibile: Macron ha perso la maggioranza nell’Assemblea, ottenendo 245 seggi, ben meno dei necessari 289.

In questo senso è stata vincente la strategia di Jean Luc Melenchon, leader de La France Insoumise che ha guidato la coalizione NUPES, unione di quasi tutti i partiti di centrosinistra fatta per poter esser più competitivi nelle varie circoscrizioni e poter accedere quindi a più ballottaggi. L’ex candidato presidente – che già ad aprile era riuscito quasi ad agganciare Marine Le Pen e ad accedere al ballottaggio contro Macron (è arrivato al 21,95% contro il 23,15% di Le Pen) – è riuscito poi a trasformare queste elezioni legislative in un “terzo turno” delle elezioni di poche settimane fa, rimettendo in discussione quindi un risultato che aveva mostrato più di una debolezza del presidente rieletto.

Ciò che conta è la narrazione, e una forza politica è riuscita a trovare una chiave di lettura nuova in un’elezione diventata una rappresentazione dell’inerzia, che, però, la sinistra unita è riuscita a scardinare. Non con un risultato comunque tutto a suo favore, anzi. Rispetto alle aspettative (che alla fine sanciscono vincitori e vinti) non ha un particolare exploit il NUPES. Anzi: a ben guardare, i seggi al suo interno sono divisi tra i vari partiti che hanno utilizzato questa piattaforma a scopo puramente elettorale, come da accordi. Una scelta che ha premiato, che però non pone il maggior partito, La France Insoumise, quale principale partito d’opposizione. Per superare questo problema Melenchon sta lavorando per far sì che NUPES si costituisca come gruppo parlamentare unico, pur mantenendo l’identità di ogni partito, ma come si svilupperà questa partita sarà tutto da vedere.

E se la sinistra a suo modo vince, c’è chi vince ancora di più: il Rassemblent National di Marine Le Pen ha letteralmente decuplicato e più i seggi. Da 8 a 89. Un risultato storico, ben al di sopra di qualsiasi risultato alle Legislative dell’estrema destra.

Risultano quindi particolarmente interessanti alcuni dati. Al di là di come evolverà l’immediato presente, queste elezioni ci danno due indicazioni, una legata alla Francia e una che potrebbe riguardare anche noi.

Sicuramente intanto il 2027 sarà un anno particolarmente caldo e interessante in Francia: Macron non potrà ricandidarsi, e sia Melenchon che Le Pen hanno già escluso una loro candidatura. Riusciranno a emergere nuove figure di riferimento che sappiano ugualmente capitalizzare il consenso di questi leader che in pochi anni hanno sconvolto gli equilibri della politica francese?

L’altro aspetto è invece l’evidente fine della politica della responsabilità. Il ritornello che spesso si innesca per alimentare il cosiddetto voto utile, in Francia ha proprio un nome: Fronte Repubblicano. In francese, Barrage Republicain. Per impedire la vittoria della destra, era prassi che le altre forze si unissero e si compattassero. Un sistema che ha già mostrato segni di cedimento nel 2017, così come nelle presidenziali del 2022. E che questa volta questo non è praticamente accaduto.

Flussi alla mano, nei ballottaggi NUPES/RN (per semplificare: sinistra melenchoniana, contro destra lepeniana), il 72% degli elettori di Ensemble, la coalizione di Macron, si è astenuta, mentre tra chi ha votato assistiamo a una sostanzialmente equa suddivisione tra le due forze in campo (16% per la sinistra del NUPES, 12% per la destra del RN). Per non parlare poi degli elettori del centrodestra dei Les Republicains, gli unici superstiti di quei partiti tradizionali che per decenni hanno governato la Francia: chi di loro si è recato alle urne ha preferito votare il partito di Le Pen piuttosto che la coalizione di Melenchon (rispettivamente il 30% a fronte del 12%).

Come se non bastasse tutto ciò, come sottolinea Mathieu Gallard (Ipsos France) a confermare definitivamente la fine definitiva del “Fronte Repubblicano” è Céline Calvez (deputata macroniana), che in diretta tv afferma: “quando ci sarà bisogno di una maggioranza andremo a cercare i voti del Rassemblement National”, richiamandosi peraltro a Olivia Grégoire, portavoce del governo.

Ma su tutte c’è una considerazione politica rilevante. I dati francesi ci mostrano chiaramente il motivo della distanza spesso sentita tra politica e popolo: principalmente a votare vanno persone ricche e anziane. Un’analisi Ipsos mostra come una differenza enorme di partecipazione al voto in base al reddito netto mensile. Sono appena il 36% i votanti tra chi ha meno di 1.250€ al mese, una percentuale che cresce con la crescita del reddito: il 43% tra chi ha tra 1.250€ e 2.000€, il 47% tra chi ha tra i 2.000€ e i 3.000€, e addirittura del 51% tra chi ha di più.

Nella stessa analisi emerge forte anche la questione generazionale. Tra chi è compreso tra i 18 e i 24 anni l’astensione arriva al 71%, al 66% tra i 25 e i 34. Dati completamente opposti rispetto a chi ha tra i 60 e i 69 anni, la cui affluenza è al 58%, e più di 70, dove si raggiunge un livello di partecipazione al voto del 66%.

Insomma, va a votare chi più di altri non si trova ad avere a che fare quotidianamente con le contraddizioni del sistema liberista. Con la conseguenza che chi ha salari sempre più bassi e minor potere d’acquisto, chi è davvero vessato e costretto ed è tornato a dover lottare per i propri diritti, chi si trova a fare i conti con una sanità pubblica sempre più svilita in favore del privato, si trova ad avere sempre meno voce, con il risultato grave di una rappresentazione politica distorta.

Uno spunto importante per riflettere anche sulla situazione in Italia, visto il voto che si terrà tra pochi mesi. Esiste un partito in grado davvero di rappresentare gli oppressi della società? O meglio: c’è una realtà in grado di invertire la tendenza a cui assistiamo un po’ ovunque, dove chi è distante dalla politica tende ad allontanarsi ancora di più? Perché altrimenti il rischio è di alimentare sempre più la distanza tra popolo e classe politica, che sarà di conseguenza sempre meno rappresentativa. Con un forte rischio democratico per il futuro.

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