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Cercasi scuola disperatamente

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associazione città festival contro informazione giornalisti giornali media scuola didattica a distanza

di Lucia Dante

Come sito dell’Associazione, diamo spazio al contributo di una giovane insegnante (in passato anche volontaria del nostro Festival), alle prese con la didattica a distanza (d’ora in poi, DAD). La scuola è un luogo fisico in cui si è trattati da uguali: a tutti viene dato un banco e la possibilità di apprendere, soprattutto a chi risulta maggiormente privo di risorse materiali o culturali nel contesto familiare di provenienza. Facendo lezione da casa, quell’orizzonte di uguaglianza inizia quantomeno a vacillare. In questo pezzo, Lucia Dante ci parla delle difficoltà intrinseche in cui si è imbattuta non trovandosi più in un’aula scolastica.

Cos’è la DAD

La DAD è stato il nostro salvagente. Mentre il mondo affrontava la pandemia, mentre eravamo costretti tutti a chiuderci in casa, la DAD è stata l’unica cosa a livello scolastico che ci ha dato una parvenza di normalità. Vedere i ragazzi, parlarci, soprattutto dopo i primi giorni di buio, è stato un sollievo. Poter dire “ma voi come state”, poter parlare di scuola e di altro credo sia stato uno dei primi momenti in cui ho cominciato a respirare di nuovo. Ma è passato il tempo e la DAD è rimasta, prima alternata alla presenza e poi di nuovo come unico mezzo. E adesso possiamo dirlo.

La DAD fa schifo.

Fa schifo perché ogni mattina accendo il computer e mi sento un’influencer, solo che le mie dirette durano cinque ore al giorno. Fa schifo perché devo cercare di far accendere loro le telecamere e loro non vogliono. Fa schifo perché passo la mattina a cercare di capire chi c’è, chi è entrato ma poi s’è dato alla macchia, chi non riesce a farsi sentire ma vuole rispondere. È un concerto di “non la sento, entro e riesco”, “prof mi si è bloccato tutto”, “prof ha la voce metallica, può dire Luke sono tuo padre?”
È uno zoo fatto di gente che accarezza gatti, fuma sigarette, si spiaggia sul letto, va in bagno con la telecamera accesa (non chiedetemi), va in giardino, ti mostra il liquidator.
La verità è che i ragazzi, anche quelli che si impegnano, con la DAD fanno una fatica boia a seguire e non c’è progetto o buona intenzione che tenga.
“Sono persi”, diciamo. Ed è proprio vero.
Poi ci sono loro. I genitori. Quelli che la DAD non l’hanno capita, vedono il figlio a casa e pensano che non stia facendo niente. Questo periodo ha confermato quello che temevo negli anni precedenti: una fetta di genitori la scuola non sa manco cosa sia. Tolto il guscio di mattoni, non riescono più a identificarla.
Ho avuto studenti che hanno saltato la mia ora per andare al supermercato. Ho avuto uno studente che ha acceso la telecamera ed era in macchina. Chissà dove andava. Erano le 10. Di mercoledì.
Ho avuto genitori che hanno risposto alle domande che facevo ai ragazzi durante la lezione. So di genitori che suggeriscono durante le interrogazioni.
Altri genitori invece mi hanno spezzato il cuore.
“Mio figlio non esce più dalla stanza” “Mia figlia sta sempre al computer”. E tu porca miseria ti senti responsabile, ma non puoi fare niente e ti tocca testimoniare una generazione di adolescenti che si aliena ancora di più dal mondo reale, e improvvisamente pensi cosa faresti al posto loro e capisci che forse saresti uguale.
Ti rendi conto che non li invidi, che in fondo non è giusto, che la DAD serve ma fa schifo.
Siamo gennaio, ormai alla fine della tregua natalizia, con la prospettiva di una didattica integrata al rientro. Siamo, come spesso nel mondo della scuola, ambivalenti davanti a questa prospettiva. Da una parte il rapporto umano, l’ambiente, lo scambio che ci sono mancati; dall’altra la paura del contagio, delle quarantene, il tormento che duri poco, che si torni per qualche settimana e poi si venga sistematicamente rimessi in DAD per l’aumento dei casi.
La scuola è sicura, dicono; in realtà non sappiamo quanto sia vero. Dipende dalla scuola, dalla fortuna, dai ragazzi, da noi. Dai trasporti e dalle tattiche messe in atto. Quindi la DAD incombe ancora, come una risorsa e come una minaccia.

Speriamo che finisca presto. Perché questa, purtroppo, non è scuola. È DAD.

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