Politica

Cronache da un Parlamento svuotato

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Si narra che un tempo un vecchio saggio errava per l’estremo oriente portando di villaggio in villaggio la propria infinita conoscenza.

Così raccontava il vecchio:

“Partii un giorno dalla mia dimora ai piedi della grande montagna per raggiungere il fiume. Valicai il monte e superai deserti per arrivare alla sacre anse. Intinta la mia brocca nelle acque mi apprestai sui miei stessi passi. Giunto dopo un lungo cammino nuovamente alla mia dimora pensai: eccomi di nuovo qui. Dopo tanta strada, dopotutto, non mi sono mosso di un passo”.

In mezzo ai fedeli, giunti a raccogliere l’insegnamento del vecchio saggio, un nutrito gruppetto di grandi elettori italiani prendevano diligentemente appunti.

È finita la maratona e dopo tanta strada siamo ancora al punto di partenza. Dopo la nota conclusione, il commento che più di tutti si sente risuonare è quello secondo cui “ha perso la Politica ma ha vinto il Paese”. Ma quale Politica, quale Paese?! Quando iniziano con le “P” maiuscole vuol dire che è aria fritta. Si è capita solo una cosa: i rapporti di forza in Parlamento sono uno shangai e per paura di far mutare nuovamente il quadro non c’è stato il coraggio di muoversi neanche di un millimetro. Sono tutti contenti ora. “Se vogliamo che tutto resti com’è bisogna che nulla cambi”. Gattopardi dalla memoria corta, non si accorgono di storpiare il famoso motto.

Non ci si rende conto che in questo modo stanno consolidando una pericolosissima prassi costituzionale. E non mi riferisco all’ormai ordinaria anomalia del doppio mandato al Presidente della Repubblica, già di per sé non di poco problematica, ma dell’irrilevanza del Parlamento, che ormai solo in queste rare occasioni sembra ritrovare una qualche centralità. Mortificato dai decreti presidenziali, dallo stato di emergenza, da un Presidente del Consiglio dettato dalla necessità, si trova ora ad affidarsi anche nella nomina della più alta carica dello Stato all’ennesimo “uomo della provvidenza”. Ma chi sono i responsabili di tutto ciò? Chi sono gli attori di questo bell’evento televisivo?

Sempre stando agli interventi degli esperti che si sono sentiti nelle ultime ore mi ha colpito chi ha sentenziato che “con questo voto sono stati definitivamente sconfitti i populisti”. Può anche essere un’analisi corretta: effettivamente l’irruzione dei Cinque Stelle è ormai del tutto assorbita dal sistema politico, Salvini è commissariato dalla corrente governista della Lega e i parlamentari di Fratelli d’Italia si sono alla fine ritrovati da soli. In ogni caso, che la sconfitta dei populisti sia vera o meno, lo spettacolo di questa settimana ha reso me – che non penso di esserlo mai stato prima – un po’ populista. Almeno per un paio di giorni, dai.

Proprio per questo, forse anche per il clima festivaliero, mi accingo ad un’attività che nella mia fase pre-populsita non avevo mai sopportato: stilare la classifica degli attori in gioco, come se l’elezione del capo dello Stato fosse un evento televisivo e non il sale delle democrazia. Niente voti però, solo un commento, perché sarò anche un neofita populista, ma a certe cose non mi abbasso.

Ma veniamo dunque ai big in gara in questa kermesse della politica italiana (in rigoroso ordine sparso).

Matteo Salvini (che i ragazzini a cui faccio doposcuola chiamano “il tizio con la mascherina tricolore”): prova a fare il queen maker e gli va male. In compenso riesce a sfasciare, almeno sulla carta, il centrodestra. Detto ciò è giusto riconoscere che è l’unico che prova a fare dei nomi, cercando di arginare la pioggia di schede bianche.

Enrico Letta: qui bisogna distinguere. Letta realizza un capolavoro tattico. Prendendoci per noia riesce a ottenere ciò che voleva. Lo ottiene però boicottando di fatto la votazione. L’impasse che ha portato alla rielezione di Mattarella è del tutto diverso da quello che nel 2013 fu risolto solo dal secondo mandato di Napolitano. Allora c’erano stati almeno due seri tentativi di elezione (Franco Marini prima e Romano Prodi poi) e si usciva dal trauma dei 101 franchi tiratori. Dietro la scusa di non avere i numeri (neanche il centrodestra li aveva) il centrosinistra non fa nemmeno un nome, né dei suoi, né che possa essere condiviso.

Giuseppe Conte: Boh, non pervenuto. È a capo del gruppo parlamentare più ampio ma rimane a rimorchio di Letta.

Il cosiddetto “Fronte Progressista” in generale: PD, M5S e quel che resta di LeU fino a l’altro ieri erano maggioranza di governo ma oggi non riescono ad esprimere un solo nome (vedi la voce “Enrico Letta”). Al contrario si ostinano a trincerarsi dietro ad un muro inscalfibile di schede bianche. E a nessuno che venga piuttosto in mente di dare una mano al povero Manconi per superare i sei voti. Quando il centrodestra tenta la maldestra spallata votando Casellati, i giallorossi se la filano astenendosi. La mossa è furba e fa schiantare Salvini sul muro dei franchi tiratori ma la scena è vergognosa perché se hai paura che qualcuno dei tuoi nel segreto dell’urna possa votare con la destra, allora ce la meritiamo la Casellati. Nonostante tutto, con questi escamotage, il fronte progressista ne esce nel complesso più unito del centrodestra. Il che è tutto dire.

Giorgia Meloni: alla fine, pur risultando sconfitta, è quella che forse se l’è giocata meglio. Alla quarta votazione sfida la leadership di Salvini con il nome di Crosetto raccogliendo ben più voti di quelli che avrebbe avuto a disposizione sulla carta.

I franchi tiratori: sempre pronti a mettere un po’ di pepe, questo giro si fanno sentire poco, giusto il tempo di affossare la già improbabile elezione di Casellati. Poi qualche voto di fantasia al momento di incoronare Mattarella, ma nulla di più.

Premio Pippo Baudo ad Enrico Mentana

Menzione d’onore all’eroe che fino alla fine ha votato il grande Alessandro Barbero.

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