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FR20: Intervista a Gad Lerner.

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Buonasera a tutti, questa sera qui a Fornaci Rosse abbiamo avuto il piacere di avere con noi Gad Lerner, che ci ha parlato di Resistenza, ma è famoso come giornalista per essersi occupato di moltissimi temi, sia dentro che fuori dall’Italia. Partiamo con una domanda di Giulia.

Giulia T.: Abbiamo parlato – anche parallelamente, forse – di uguaglianze di genere, di libertà personali. Allora la domanda è: dev’esserci per forza un conflitto perché queste riescano a imporsi e a emergere in modo forte o possono esserci altre vie pacifiche che permettano loro di scaturire con pari forza?

Il compromesso più felice sarebbe un conflitto pacifico, e ce ne sono stati, ci sono stati grandi movimenti non-violenti che sono riusciti a ottenere dei risultati, ma non sempre è così, purtroppo. Parlando di parità di genere noi vediamo nella Turchia di oggi donne di straordinario coraggio, come l’avvocatessa Ebru Timtik, che muore in carcere perché la sua lotta è digiunare per duecentotrentotto giorni contro una violenza di Stato, ma ha pagato con la vita. Un’emancipazione femminile che in un Paese di tradizione islamica si potrebbe pensare più difficile di quanto non sia da noi. Il conflitto è necessario, le modalità di questo conflitto cambiano nelle diverse circostanze, pensiamo al grande movimento in atto negli Stati Uniti oggi contro la discriminazione razziale, contro le violenze della polizia, Black Lives Matter. È un movimento che si è sviluppato pacificamente, oggi incontra una violenza che non è più soltanto quella poliziesca, ma è anche quella di un contromovimento aggressivo, reazionario e suprematista. Magari i conflitti fossero tutti non-violenti!

Dalla Turchia che ha citato vorrei spostarmi a un Paese vicino, che è la Grecia. Ricordo che nel 2011-2012, nella sua trasmissione allora in prima serata su LA7, L’infedele, fu il primo giornalista italiano a dare spazio alle voci che dalla società e dalla politica greca si sollevavano contro le misure di austerity che venivano applicate in quel Paese. Adesso sono passati quasi dieci anni, come vede la situazione sia per quanto riguarda la società greca che per come viene raccontata l’Unione Europea oggi nei media italiani?

Intanto, per dire come i movimenti servono anche molto a distanza, se ho fatto quelle trasmissioni a L’infedele, lo si deve alla circostanza per cui il portavoce di Syriza, cioè del partito di sinistra che ha vinto le elezioni all’epoca, era stato correttore di bozze nella tipografia di Lotta Continua negli anni dei colonnelli, negli anni del regime fascista in Grecia, quando lui si era rifugiato in Italia. Vedi, questi legami nel tempo poi producono frutti. Sono stati sconfitti loro, i compagni di Syriza, nel loro confronto con l’Europa sono stati schiacciati, e questo ha riportato al governo in Grecia una destra nazionalista, e oggi nelle tensioni con la Turchia, le manovre militari nel Mar Egeo ci rammentano lo stesso trattamento disumano riservato ai profughi, ai migranti, ci dicono che questa sconfitta produce dolore, produce effetti nella vita quotidiana della gente.

Su questo punto io vorrei collegarmi. Ritiene che sia mancata una critica in Italia da sinistra all’Unione Europea in questi anni? Dopo la capitolazione di Tsipras fondamentalmente ci si è dimenticati di quella storia e si è adottata una retorica sull’Europa, come dire, indulgente, ma che non raccontava quello che era, laddove invece la destra (Salvini e la Meloni) e il Movimento 5 Stelle hanno adottato una posizione netta di critica all’Unione Europea?

Io credo che ci sia stato un errore drammatico del governo italiano dell’epoca, che, quando l’Europa ha strangolato la Grecia di Tsipras, e Syriza e il governo greco avevano fatto appello a tutti i Paesi euromediterranei che si trovavano in condizioni meno drammatiche ma non così dissimili dalla Grecia, avevano fatto appello all’Italia, alla Francia, alla Spagna, al Portogallo, di unirsi in un fronte comune contro l’austerità che non teneva conto delle condizioni reali dei popoli, l’Italia – in quel momento era al governo Renzi – preferì fare il primo della classe che invitava la Merkel a Firenze e diceva “Noi non siamo come la Grecia, noi non vogliamo pagare le baby pensioni dei greci”. Credo che l’abbiamo pagato dopo questo atteggiamento, perché si è fatta della retorica sul battere i pugni sul tavolo. Io non credo a un antieuropeismo di sinistra, penso che non possa esistere, che sia nella nostra natura la difesa sovranazionale delle classi più deboli, e quindi nessuna gelosia o invidia di chi ha voluto spaccare l’Unione. Credo che serva più Unione Europea, purtroppo ce ne siamo resi conto solo a seguito di una disgrazia, cioè della pandemia Covid. 

Rimanendo in tema di un partito che si è costruito, in parte, come critica all’Unione Europea e all’euro, quantomeno in tempi recenti, cioè la Lega. Lei conosce la Lega dagli esordi con Bossi all’ultima Pontida di Salvini: in questo panorama – visto che tra poco meno di un mese in Veneto si vota per le regionali – come giudica la figura di Luca Zaia?

Come un potentissimo revival di regionalismo e di nazionalismo localistico. È il ritorno della Lega nella trincea del Nord, più precisamente con l’orgoglio venetista separato e spesso contrapposto ai lombardi, che in un primo tempo la Lega aveva cercato di superare faticosamente, espellendo i primi esponenti della Liga Veneta, con la nozione inventata ed artificiale di “Padania” per dire che stavano insieme. Oggi, invece, tornano a separarsi, Zaia si rafforza e, rafforzandosi, dimostra che il progetto nazionalista di Salvini – costruire una Lega che si estendesse anche nel Mezzogiorno d’Italia – è un progetto già fallito.

Se dovesse dare un consiglio alla sinistra veneta su come sconfiggere Luca Zaia..?

[Risate] Non sarei qui a chiacchierare con voi, mi fai delle domande così difficili alle quali non so rispondere, non voglio fingere!

Ci troviamo in una situazione eccezionale, dovuta alla pandemia, generalmente questo festival ha luogo in uno spazio aperto, che è un parco, un’ambientazione popolare con gastronomia, ed è sicuramente uno di quei tentativi di radicamento nel territorio che, almeno secondo il nostro ragionamento, è il modo con cui…

Guarda, da quello che mi hanno raccontato di voi, e parlo con molta superficialità perché ho soltanto dei racconti, siete una delle tante dimostrazioni – per fortuna tante – che una rigenerazione della sinistra che abbia di nuovo delle radici, che abbia di nuovo dei legami popolari, autentici, non passa attraverso i gruppi dirigenti attuali, mi ci metto dentro anch’io, eh, anch’io sono un pezzo di quella sinistra che per andare al governo ha avuto l’ansia di legittimazione, una soggezione all’establishment che ha portato a rompere i suoi rapporti con il mondo che l’aveva generata, con il mondo degli sfruttati, con il mondo dei più deboli. È ovvio che da lì la sinistra rinascerà ed è ovvio che non saremo noi, ma sarete voi.

Speriamo! Un’ultima domanda: Gad Lerner è nato a Beirut, in Libano. Un commento rapido sulla situazione attuale in Libano?

Mi ferisce molto perché io speravo che il Libano, che ne aveva già passate di tutti i colori, riuscisse a starne fuori da questa contesa mediorientale, che si traduce in carneficina subito lì accanto, in Siria, la Siria ha mandato un milione e mezzo di profughi nel piccolissimo Libano, il Libano è più piccolo del Veneto. Qui si blatera di invasione per poche migliaia di migranti, lì su quattro residenti in Libano uno è un profugo siriano, per capirci. E in questa bomba a orologeria già innescata c’erano movimenti di protesta anticorruzione che superavano le gabbie etniche, questa esplosione di un arsenale nel porto di Beirut rimette questa città e questo piccolo Paese mosaico al centro del conflitto mediorientale in una maniera pericolosissima, perché lì c’è l’Iran, lì c’è l’interesse delle petromonarchie del Golfo, lì ci sono le mire egemoniche della Turchia. È sempre stato un luogo dove si combatteva la guerra per procura il Libano, ma siccome ne aveva vissuta una atroce, una guerra civile durata quindici anni, dal 1975 al 1990, se la ricordano, i giovani l’hanno sentita raccontata dai genitori ed erano preoccupatissimi di dover rivivere qualcosa del genere. Io ne ho paura e credo che, però, abbiano la creatività, la vitalità, la saggezza di scongiurarlo.

Abbiamo un’ultima domanda da parte di Giulia.

Giulia T.: Relativamente al suo lavoro come giornalista, la domanda è: quanto le sue idee personali, la sua visione del mondo è per lei un valore nel lavoro che lei fa, nel suo racconto della realtà?

Potrei cavarmela rispondendo… tutto, completamente. Potrebbe sembrarvi una risposta paracula, perché, certamente, io sono un giornalista che ha fatto, tra virgolette, carriera, che ha fatto compromessi, che ha avuto relazione con i suoi editori, non faccio della retorica sulla mia purezza o indipendenza, perché chi fa quella retorica sulla schiena dritta, secondo me, va sempre guardato con sospetto, però ho avuto una fortuna sfacciata nella vita, ho cominciato il giornalismo a Lotta Continua come militanza e quelle ragioni, quella visione del mondo naturalmente è molto cambiata nel tempo, ma l’ho seguita. Quando oggi parlo di migranti parlo della mia biografia personale, quando parlo di razzismo so di che cosa parlo e quando parlo anche di conflitti sociali ho conosciuto gli operai e ho conosciuto i padroni, e credo alla mia età di poterlo dire con una certa serenità: nessuna purezza, mille compromessi, una sfortuna sfacciata che i giovani di oggi che intraprendono questa missione, questo mestiere, non hanno più, perché il lavoro dei giornalisti si è proletarizzato e quindi ne parlo con imbarazzo perché so la fortuna di cui ho goduto.

Grazie mille per la disponibilità. Buona serata!

Grazie a voi!

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