Intervista a cura di Ester Giachetti
‘Inbiciper’ nasce come un progetto di Matteo e Christian, partiti il 6 luglio da Malo per giungere in sette giorni a Roma. Attraverso 630 chilometri e sette tappe, hanno viaggiato con due biciclette e un messaggio preciso di sensibilizzazione alla storia di Ali e di quella di tanti altri ragazz* a cui non è stato rinnovato il permesso di soggiorno.
Il viaggio attraverso l’Italia è stato condiviso sulla piattaforma di Instagram, dove sono stati raccolti foto, video, avventure giornaliere. Ognuno ha così potuto seguire le fatiche di Matteo e di Christian, sostenute dal sogno di condividere la causa di Ali e di arrivare all’ambasciata egiziana per “esporre un manifesto di verità per Giulio Regeni e di libertà per Patrik Zaki”.
Matteo Mabilia è un giovane di venticinque anni, studente a Bologna in Relazioni Internazionali, che “ha messo la faccia” nella causa in cui crede.
Gli abbiamo chiesto di raccontarci il suo gesto, mosso dalla sfida di portare fino in fondo il suo scopo, raccontando la storia di Ali.
Da dove è nata l’idea del viaggio in bicicletta? Era la tua prima esperienza?
“È stato soprattutto dopo la quarantena che ho cominciato a usare molto la bici, come valvola di sfogo. Abito nella campagna di Malo e ho cominciato a girare in bicicletta più spesso. Poi ho casualmente incontrato Christian, il ragazzo che mi ha accompagnato. Abbiamo parlato un po’ e deciso di fare un viaggio in bici fino a Roma. Due settimane dopo siamo partiti.”
Come vi siete organizzati?
“Inizialmente abbiamo dovuto comprare l’attrezzatura per la bicicletta e la bici stessa, che sia io sia Christian abbiamo acquistato un mese fa. Eravamo abbastanza improvvisati dal punto di vista tecnico, ma con tanta voglia di partire. Abbiamo cercato di viaggiare leggeri, considerando anche i chilometri previsti, e durante le tappe siamo stati ospitati da amici, oppure ci siamo fermati in bed and breakfast.”
Perchè fino a Roma?
“Roma è stata il primo punto di riferimento e il traguardo del viaggio, essendo una bellissima città, distante, centro dell’Italia. A questa meta si aggiungeva il messaggio più profondo in cui credo, da attivista di diritti umani e da studente di relazioni internazionali: il desiderio di giungere di fronte all’ambasciata egiziana, nel ricordo di Giulio Regeni e di Patrik Zaki. Per noi studenti di Bologna la vicenda di Zaki è stata estremamente sentita, ed era mio desiderio sensibilizzare anche sulla sua storia. Si trattava così di una tappa molto simbolica ed è stata una coincidenza che, il giorno in cui siamo siamo arrivati a Roma, abbiano prolungato la sua detenzione di 45 giorni.
Lo scopo principale della pedalata è stato però quello di condividere la storia di Ali e aprire la campagna di raccolta fondi per lui (link in fondo all’articolo).
Ali è un ragazzo del Gambia di ventidue anni, è giunto in Italia tramite il Mediterraneo e dopo aver seguito il processo istituzionale di accoglienza si è trovato per strada. È stata ospitato da Cecilia, una ex infermiera che da più di un anno ha deciso di provare a fare la differenza offrendo una parte della sua casa per Ali.”
Come lo hai conosciuto?
“L’ho conosciuto qualche anno fa grazie a Refugees Welcome Italia, una Onlus nata a Berlino nel 2014 che, attraverso una rete di volontari distribuiti spontaneamente nel territorio internazionale, ha lo scopo di promuovere l’inclusione tramite l’accoglienza in famiglia. Si appoggia sulla disponibilità di persone locali, che offrono una loro camera, la loro casa, i loro spazi a uno o più rifugiati, o a una famiglia. Dove spesso il percorso di accoglienza istituzionale lascia i rifugiati senza un tetto sotto al quale vivere, Refugees Welcome copre un buco lasciato dall’istituzione, attraverso l’accoglienza diffusa a livello più piccolo e famigliare.
Da volontario ho quindi conosciuto Ali e seguito la sua convivenza, andandolo a trovare, aiutandolo. Quando non è stato rinnovato il suo permesso di soggiorno, Ali però, come altri ragazz* come lui, si è trovato in una situazione di limbo: o rimanere in Italia clandestinamente, o lasciare il Paese.
Per questo dunque ho deciso di promuovere anche una raccolta fondi per aiutare Ali ad accedere alla sanatoria, attraverso la quale può accedere avendo un contratto per lavoro domestico: si tratta di un piccolo contributo che può fare la differenza.”
Puoi dirci qualcosa di più riguardo alla sanatoria?
“Tantissime sarebbero le cose da dire, tantissimi i problemi e i limiti strutturali, sia riguardanti la legge scritta all’interno del decreto di rilancio post lock-down, sia riguardanti le difficoltà concrete incontrate nella regolamentazione.
Tra queste vi sono dei limiti economici, laddove la richiesta richiede un largo dispendio di soldi e non è ovvio che, generalmente parlando, un datore di lavoro voglia regolare i propri lavoratori, spesso già sottopagati e senza diritti garantiti. Se la regolarizzazione significa pagare tantissimi euro, un datore di lavoro in quest’azione ci perde soltanto.
Un altro aspetto negativo della situazione è la sua ignoranza da parte del dibattito pubblico: della sua problematicità non se ne parla, oramai, più. Nel momento appena precedente la fine della quarantena vi erano stati dibattuti dubbi e si erano alzate delle critiche, ma ora nessuno fa notare che sono arrivate pochissime domande di regolamentazione, mentre gli altri ragazz* e rifugiat* vivono clandestinamente, nell’indefinitezza e insicurezza.
A questi problemi si aggiungono altri di natura formativa. Se infatti Ali è, fortunatamente, ospitato e seguito da Claudia, invece altri migranti, che vivono nei ghetti e in situazioni più difficili, al di fuori della società, non hanno la possibilità di regolamentarsi. Non parlano italiano, non hanno nessun aiuto, e gli ostacoli sono aggravati da difficoltà economiche, laddove infatti la sanatoria costa, richiede di pagare un avvocato, un economista… Diversi sono i fattori che limitano l’efficacia della sanatoria, e il risultato è che pochissimi vedono il loro soggiorno regolamentarizzato.
Durante i miei studi ho imparato la differenza tra legge scritta e sua attuazione pratica, i limiti che le separano e che vive anche Ali. Spero che presto qualcuno mostri quante poche persone stiamo effettivamente richiedendo domanda.”
Come ti senti dopo questo viaggio? Stai già pensando a un prossimo?
“Christian in ambiente ciclistico ha subito voglia di ripartire, gli è piaciuta tanto quest’esperienza che non si vive mai in solitaria, ma che invece permette di fare incontri e di conoscere persone diverse che ti accompagnano per strada, raccontandoti la loro storia e le loro motivazioni… sono state bellissime esperienze, nonostante le fatiche incontrate soprattuto attraversando gli Appennini, tra il passo della Futa e le colline toscane. Essere in due durante la pedalata ha aiutato molto, e fortunatamente non abbiamo mai bucato o avuto incidenti.
Non mi aspettavo queste condivisioni e incontri, come quello con Gianfranco, un vecchio pensionato dall’accento bolognese che ci ha accompagnato con la sua Mountain Bike elettrica senza il minimo sforzo da Bologna a Sasso Marconi, mostrandoci acquedotti romani, pozzi, ville, condividendo la storia dei luoghi. Le persone incontrate sono state la bellezza aggiunta al viaggio.
È stato per me un nuovo modo di sensibilizzazione, che vorrei ripetere per esempio giungendo nelle zone vicino al confine come quello della Francia, Ventimiglia, della rotta balcanica… dove il confine non è mai solo una linea tracciata. Viaggiare in bici dà la possibilità di vivere maggiormente un confine, di accorgersi della sua presenza, mentre in macchina esso non è nulla più che un cartello stradale.
Ho cercato con questo gesto di mettere la faccia nella causa in cui credo, una causa secondo me giusta, che non ha bisogno per esempio di immagini che suscitino pietà o compassione (per questo non ho ancora pubblicato foto di Ali).
Ho fatto nel mio piccolo quello che potevo fare, e sono molto contento dei risultati fino ad ora raggiunti anche nella campagna fondi. Il cammino è ancora lungo, la campagna è ancora aperta e rimarrà così per un alto mese, sperando di aumentare la cifra.
Credo che attraverso piccole azioni si possa raggiungere un cambiamento. Se io come persona, con la mia cerchia di amici, riesco ad aiutare Ali, e se altri prendessero a cuore diversi casi, il cambiamento è possibile. Come è possibile sensibilizzare riguardo a queste tematiche e cercare di combattere nel piccolo le ingiustizie.”