Durante la pandemia sono stati chiamati eroi e poi additati come untori, investiti da sporadici bagliori di riflettori mediatici; le persone che assistono spesso si rivolgono a loro definendoli degli angeli. Giorgia e Ivan pensano a sé stessi invece come lavoratori.
Sono infermieri, pronti ad affrontare il dolore ad ogni turno e a porvi rimedio, con la loro empatia ma soprattutto grazie alle proprie competenze e specializzazioni, a cui non viene attribuito un adeguato riconoscimento, né economico né simbolico.
Rispetto agli altri Paesi europei, ci raccontano Giorgia e Ivan, in Italia gli stipendi sono i più bassi e la sanità pubblica, nel processo graduale di privatizzazione che sta attraversando in questi anni, non cerca di trattenere al proprio interno le figure più formate, innescandone la fuga verso il settore privato, in grado di promettere invece migliori condizioni di lavoro e di vita.
Giorgia e Ivan sono una coppia e la loro storia assieme è sbocciata durante il corso di infermieristica, tra un tirocinio e l’altro, conoscendo sin dal principio a quali ritmi di lavoro sarebbero andati incontro e scegliendo quindi consapevolmente quella vita, perché volevano farlo.
Non vogliono sentirsi chiamare eroi o angeli. Ma chiedono di essere riconosciuti per quello che fanno, a partire dall’aspetto della retribuzione.
Un Paese flagellato da una pandemia può avere il coraggio di invertire la tendenza alla privatizzazione, di investire nel settore pubblico (nella sanità come nell’amministrazione, nell’istruzione… ce lo siamo detti in queste ultime puntate) e di recuperare il significato di quell’inciso riportato nell’Articolo 1 della nostra Costituzione: siamo una repubblica fondata sul lavoro, vediamo di dargli un riconoscerlo effettivo.