Il sorriso fa parte dell’abito, assieme a uno sguardo attento verso i clienti e il negozio, se lavori come addetta alle vendite.
Ma quel sorriso diventa difficile da mantenere, ci racconta Susanna, quando l’impresa fattura centinaia di milioni e a chi ci lavora spettano invece una paga misera, un inquadramento farlocco e turni serrati con poco riposo, nonché nessun diritto di esprimersi.
Proseguiamo il nostro viaggio nel mondo del lavoro, questa volta nel settore del commercio. Susanna è stata prima una falsa autonoma e ora figura come operaia, in un gioco al ribasso condotto a sue spese (e di tutti i dipendenti) da un’azienda con un’enorme fetta di mercato, che non riscontrerebbe alcun problema economico nel dare una giusta paga e un riconoscimento.
La storia di Susanna è emblematica. Ci rammenta cosa significa lavorare al giorno d’oggi, cosa ci si può permettere o meno di dire, secondo i datori di lavoro, sulle condizioni a cui si lavora.
L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, recita il primo articolo della nostra Costituzione. Ma allora perché non viene garantita una base di condizioni materiali decenti a tutte le persone che lavorano? Perché non si fanno valere i diritti di cittadinanza anche sul posto di lavoro, ma bisogna rimanere muti e ossequiosi, in un rapporto sempre subalterno?
Le domande di Susanna aprono un varco nel mondo in cui viviamo, in cui falsi inquadramenti professionali rincorrono le riforme del lavoro seguendo il motto “tutto cambia perché nulla cambi”.
Quelle domande aprono un varco e ci traghettano verso un nuovo mondo, in cui le regole democratiche vengono fatte valere, sul posto di lavoro come in tutte le sfere del vivere quotidiano. Non sono che una grande domanda, reclamata a gran voce, di giustizia sociale.