L’insegnamento è relazione, incrocio di sguardi, ascolto, condivisione di spazi e confronto con gli altri.
Un anno di pandemia ha reso estremamente difficile tutto questo, confinando gli studenti dietro uno schermo e relegando ancora più in basso chi già parte da una posizione di svantaggio, con un drammatico allargamento delle disuguaglianze e conseguenze psicologiche devastanti.
Carlo e Daniela, due insegnanti, hanno condiviso con noi un quadro della scuola di oggi, divenuta oggetto dell’attenzione mediatica per la didattica a distanza e per i concorsi, ma i cui problemi si perpetuano irrisolti da decenni.
Da un lato diventare insegnanti è un percorso accidentato, in cui si inseguono cattedre da una provincia all’altra e bisogna specializzarsi di continuo per salire in graduatoria, pur rimanendo precari e con stipendi infimi (e quest’ultimo aspetto permane anche con l’assunzione di ruolo).
Dall’altra parte, dietro i banchi di scuola siedono ragazzi e ragazze da cui si pretende sempre meno, seguendo le circolari ministeriali che parlano di inclusione e di evitare la dispersione scolastica, ma di fatto riproducono o esacerbano le condizioni sociali e culturali di partenza. La scuola italiana ha rovesciato in questi ultimi decenni la lezione di don Milani, che non pretendeva di meno, ma bensì faceva sgobbare sui libri i suoi studenti figli di contadini e di operai perché fossero alla pari culturalmente con i figli dei borghesi.
Da un lato e dall’altro la scuola rappresenta una società fortemente gerarchizzata, in cui chi ha meno alla nascita difficilmente avrà di più nel corso della vita, una società depoliticizzata e desindacalizzata che intendiamo trasformare radicalmente anche noi, nel nostro piccolo, con questo podcast e con le nostre pratiche sociali.