Primo Soccorso Lavoro

Lo smart working deve diventare un diritto.

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di Giuseppe Rigobello

L’emergenza coronavirus ha fatto piombare da un giorno all’altro milioni di lavoratori in una nuova realtà lavorativa: il lavoro agile. Nonostante l’accesso al lavoro agile fosse stato regolamentato già dal DL 81 del 2017, ben poche sono le realtà che hanno messo in campo accordi tra le parti per permettere ai dipendenti di svolgere la prestazione in questa modalità e agevolare la conciliazione dei tempi di vita. La necessità di attivare tempestivamente questa modalità organizzativa ha comportato però vari problemi: normalmente l’accesso allo strumento avviene attraverso la stipula del necessario accordo tra lavoratori e datore di lavoro, che dovrebbe andare a stabilire diritti e doveri di entrambe le parti. Questa rimane una tutela a metà soprattutto in un contesto produttivo come quello italiano, composto per la maggior parte di piccole imprese – basti pensare che la dimensione media delle imprese italiane è inferiore ai 4 addetti – nel quale l’intermediazione sindacale è una prerogativa delle realtà medio-grandi; per accedere alla prospettiva smart si prefigura quindi un accordo diretto lavoratore-padrone dove il primo è infinitamente più vulnerabile. 

A rendere più problematica la situazione si aggiungono la anticipazioni del decreto legge “Salva Italia” per cui, nella necessità di procedere speditamente all’attivazione del lavoro agile, è previsto che vi si possa ricorrere anche in assenza di accordo individuale o collettivo. In pratica buona parte dello smart working attivato in questi due mesi è del tutto sprovvisto di una regolamentazione adeguata. E questo si presta ovviamente ad abusi. 

Uno dei principali problemi emersi in questi giorni è la tendenza del lavoro ad espandersi su tutta la giornata. Insomma, in assenza di una normativa o un accordo, si fa fatica a distinguere quello che è orario di lavoro e quello che non lo è: la prestazione è pretesa in ogni momento della giornata. A ciò è strettamente collegato il diritto alla disconnessione, diritto che in Italia, a differenza di altri paesi Europei, non è previsto. 

A differenza del telelavoro, dove è prevista una maggior forma di controllo da parte del datore di lavoro, nello smart working quest’ultimo non è tenuto a fornire alcuno strumento per lo svolgimento della prestazione. In molti casi è ’il lavoratore stesso che deve organizzarsi da sé. Bisogna pretendere invece che il datore di lavoro sia tenuto a fornire quando necessario alla prestazione, perché ciò non diventi una spesa a carico del lavoratore (si pensi a quanti giga di internet vengono utilizzati nel lavoro agile, che ad oggi gravano su chi lavora). 

Il dibattito emerso negli ultimi giorni va nella giusta direzione: in un’intervista a “La Repubblica” pubblicata il primo maggio, Maurizio Landini ha sottolineato la necessità di tutelare adeguatamente il lavoratore anche nelle modalità smart, indicando i punti sensibili. Quanto detto dal segretario della Cgil è condiviso anche dagli altri sindacati maggiormente rappresentativi. Si auspica augurandosi per il futuro una maggiore l’attenzione alla promozione e alla tutela del lavoro agile ci auspichiamo che si possa arrivare ad integrare la contrattazione relativa a tale materia all’interno dei CCNL discussi a livello nazionale.

Ma non basta. Se lasciando libertà al datore di lavoro lo smart working può essere una trappola nei confronti del lavoratore, è vero anche che questa modalità presenta, qualora adeguatamente disciplinata, dei risvolti molto positivi, che devono diventare rivendicazioni sindacali. 

In primo luogo il lavoro agile consente una maggior conciliazione tra i tempi di lavoro e i tempi della vita. Attenzione: parlo di tempi della vita, non di tempo per la cura familiare, vero e proprio secondo lavoro non retribuito, soprattutto per le donne. Il lavoro agile deve consentire di conciliare il lavoro con le attività che davvero contano nella vita: in definitiva tutto quello che ci rende felici, che sia fare sport, leggere. Oziare è un diritto, e se il lavoro agile può consentire al lavoratore di distribuire l’orario lavorativo come meglio crede, ricavandone maggiore spazio per il riposo, credo sia qualcosa per cui valga la pena lottare. 

Un altro aspetto da non sottovalutare è quello della sostenibilità ambientale dello smart working. La riduzione del pendolarismo vuol dire meno automobili per strada, con tutti i benefici che ne derivano. 

In conclusione credo che per il futuro una delle rivendicazioni che si dovrà muovere debba essere quella per cui il lavoratore, laddove la mansione sia compatibile, possa in ogni caso pretendere la modalità di lavoro agile. 

È una piccola cosa ma può forse aiutare la lotta sindacale ad uscire dall’angolo della nostalgia fordista, che impedisce di immaginare un nuovo orizzonte per il lavoro, lasciando troppo spesso la definizione dei nuovi rapporti industriali al capitale. 

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