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Nel Titanic affonda anche l’orchestra: siamo protagonisti del nostro tempo.

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di Leonardo Dodo Nicolai

Prendi il tuo tempo.

È stato lo slogan del festival Fornaci Rosse nel 2019, ma molti di noi lo portano ancora nel cuore. E nella testa. Perché è un messaggio potente e non scontato. Ci sono due livelli di lettura: uno personale, e uno collettivo. Il tempo di vita: dobbiamo riprendercelo. Perché non possiamo vivere per lavorare. Ma dobbiamo anche strappare il nostro secolo dalle mani di chi lo sta soffocando in nome di un sistema che per noi non può più essere sostenibile.

Elisabetta Nardin, presidente dell’associazione Fornaci Rosse, scriveva bene“Siamo una generazione che lo spazio lo deve trasformare, che il tempo sta imparando a reinventarlo. Usiamo la nostra storia, la nostra appartenenza collettiva e lavoriamo in vista di un traguardo comune”

Non è però una sfida solo generazionale. È una battaglia per la sopravvivenza di tutti. Perché nel Titanic alla fine affonda anche l’orchestra.

Ma non siamo soli.

Non siamo in Snowpiercer, per dare un’immagine. Il film del 2013 – di Bong Joon-ho, oggi conosciuto per Parasite – racconta di una nuova era glaciale che ha costretto alcuni sopravvissuti a rifugiarsi su un treno che non si ferma mai. La società si è divisa e ridistribuita: dalla coda alla testa, una scalata dal popolo alle élite lunga quanto un treno. Nel film il popolo della coda vive per lavorare, mentre l’élite nei primi vagoni ha tempo e risorse per godersi una vita (apparentemente) libera. Ma ad un certo punto la situazione non è più tollerabile, e il film racconta della ribellione del popolo della coda, che cerca di farsi strada fino alla testa per prendere il controllo del treno, della società.

No. Non siamo in Snowpiercer. L’era glaciale è comunque alle porte: si chiama cambiamento climatico. Ma non c’è un treno attraverso cui farsi strada, vagone dopo vagone, per riconquistare la libertà. Intorno a ognuno di noi si è formato un deserto. Sfiducia, impotenza, disaffezione: ognuno si è attrezzato come ha potuto, allestendo una piccola oasi intorno a sé e ai suoi cari. Il “distanziamento sociale” di oggi è una necessità paradigmatica. “L’uomo è un animale sociale”, si diceva più di duemila anni fa. Adesso invece non si considera più questo aspetto: dopo due mesi di lockdown, è normale chiedere per i mesi a venire di stare ancora distanti gli uni dagli altri. E lo accettiamo, in nome della salute collettiva, ma sorprende si parli così poco di uno stravolgimento simile di ciò che per Aristotele era l’essenza dell’essere umano.

Dobbiamo avventurarci nel deserto dell’indifferenza e dell’accettazione. Raggiungere le altre oasi e cercare di renderle più grandi ed abitabili. Ma ci sono dune apparentemente insormontabili, modellate da una tempesta di sabbia continua che è il bombardamento di informazioni inutili a cui siamo sottoposti ogni giorno. Dune che non ci permettono spesso di vedere che poco distante da noi c’è chi sta compiendo la medesima traversata.

Un bell’esempio è, ironia della sorte, “Seize the time”. Giornale online di controinformazione nato il mese scorso, si pone il medesimo obiettivo nostro: “un invito a individuare e agire il momento propizio: ad approfondire ogni spaccatura, ogni crepa che si apre nel corpo compatto della società in cui viviamo e sfruttarla come miccia per far esplodere le contraddizioni che la sostengono”

E allora è il caso di dirlo. E di farlo assieme.

Prendi il tuo tempo.
Seize the time.

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