di Leonardo Nicolai
Di nuovo qui.
Qui dove pensiamo di essere sempre avanti agli altri. Dove pensiamo tutto giri intorno a noi.
Niente, di nuovo qui si combatte l’ennesima Grande Guerra.
O così almeno ce la vendono. Siamo in guerra, dicono. Il nemico è il virus. Un’immagine potente, chiara e comprensibile. Efficace, insomma, in tempi di comunicazione pervasiva.
Misure di guerra, quelle prese. Ci sono gli eroi. Gli angeli. Ci sono i bollettini quotidiani. E via così. È una guerra. Ma nessuno vuole chiamarla per quella che è: la terza guerra mondiale. Che ancora più delle altre due coinvolge tutti. 100 anni, e poco più, dopo la prima guerra mondiale ci troviamo di fronte a un’altra Grande Guerra.
Eppure questo senso di sofferente comunità, di condivisione di un malessere molto più grande di noi, non vogliamo proprio accettarlo. Ogni Stato fa da sé. Una gara a chi fa meglio, a chi ne esce prima. La Germania, così pochi morti? Impossibile. Barano. E hai visto la Spagna che disastro? Poi ci lamentiamo della nostra sanità.
Un senso che manca anche quando guardiamo a noi stessi. Che ipocrita cantare l’inno tutti assieme e poi urlare al proprio vicino che cammina nel vialetto sotto casa. Senza capire le difficoltà di ognuno, totalmente soggettive, o senza, in generale, capire.
In guerra una volta c’era la trincea. Era un affare di comunità, la trincea. Una linea dove stavano tutti. La trincea, il fronte. Tutti nomi singolari per parlare di tutti i soldati impegnati. E chi sono, inizia questa Nuova Guerra, i soldati? Noi, impegnati ogni giorno per evitare la diffusione del virus?
Non esiste più una trincea, un fronte. Ne esistono milioni. La casa è diventata la nostra trincea. Non abbiamo scavato un buco per settimane, ma abbiamo eretto una prigione per anni, senza rendercene conto, senza immaginarlo.
Oggi siamo gli involontari protagonisti di una guerra. Ma non dobbiamo combattere.
Ci hanno sempre insegnato la differenza di base tra la prima e la seconda guerra mondiale: dalla guerra di trincea si è passati alla guerra di movimento. Oggi è cambiato ancora. È una guerra di rassegnazione.
Non so dire come sia cambiato il mondo dopo le guerre. Se sia effettivamente cambiato. Le guerre duravano anni, quindi è difficile capire e immaginare se i cambiamenti che sicuramente avvenivano erano dettati dal tempo che era inevitabilmente trascorso, o se effettivamente ci sia stato un impegno per far prendere direzioni diverse al mondo e allo sviluppo.
Oggi, come tutto ai giorni nostri, la guerra durerà molto meno. Le notizie non durano più un giorno, ma qualche ora, se non qualche minuto. E la guerra non dura più anni, ma uno o due mesi al più.
Cambieremo dopo questi mesi? Dobbiamo. Altrimenti prepariamoci a un’altra guerra.
E niente. Di nuovo sul fronte occidentale.
Di nuovo qui il mondo può finire e rinascere. Non diamoci un tempo, riprendiamocelo.