Quando ho saputo dei fatti che hanno portato alla morte di Luca Ventre, a gennaio scorso, non mi sono meravigliata di come si sono svolti, fondamentalmente per due motivi. Per chi non lo sapesse le Ambasciate Italiane in Sudamerica sono presidiate da agenzie private di sicurezza, che si affiancano alla polizia locale, perché altrimenti non riuscirebbero a gestire l’assedio di tutte le persone oriunde italiane che fanno trafile, lunghe anni addirittura, per ottenere la cittadinanza e poi poter emigrare in Europa. E non è strano che qualcuno provi ad entrare in modo “improvvisato”.
Soprattutto questo si verifica quando, come nel caso di cui parliamo, quel qualcuno si sente in pericolo (“braccato”, il termine usato da Luca parlando con suo fratello) e cerca riparo in quello che crede la sua casa all’estero.
Per ottenere informazioni locali, sono arrivata ad un articolo pubblicato nella edizione on-line della Rivista “Caras y Caretas” di Montevideo, del 4 giugno, che ha ottenuto dichiarazioni di un ex funzionario della polizia uruguaiana che – dopo aver visto le immagini della telecamera dell’Ambasciata e letto la documentazione disponibile al momento, ha fatto queste considerazioni:
Il tempo che è stato trattenuto dopo il suo ingresso all’Ambasciata (più di 40 minuti) avrebbe meritato un altra forma di procedura con lui soprattutto quando non rappresentava una minaccia, come testimoniano le immagini, e se c’era qualche dubbio per il suo atteggiamento alterato, si poteva richiedere la presenza di una unità di emergenza sanitaria.
Sempre l’ex-poliziotto mette in evidenza la non necessaria dilatazione del processo di investigazione in corso, come se si lavorasse ad un verdetto previamente definito e rimanesse soltanto la possibilità di un processo amministrativo che dia sollievo alle relazioni diplomatiche.
Inoltre, dalla documentazione a disposizione del procuratore si evince che: i custodi dell’ambasciata avvertirono con una telefonata la polizia dell’ingresso forzato di un cittadino e richiesero aiuto senza prendere in considerazione elementi per trattenerlo (non aveva le manette, si la pistola), e sempre la guardia di sicurezza (privata) conferma che l’individuo non era armato. Durante la conversazione si sente anche la voce smorzata di Ventre che dice “non mi muovo”.
Esiste un’altra chiamata alla polizia da parte di un vicino dell’ambasciata: denunciava il fatto che dall’interno della sede si sentono delle grida come si stesse torturando qualcuno.
Ovviamente non mi sono stupita dalla violenza con la quale è stato accolto, perché il retaggio che è rimasto nei nostri Paesi dopo le famose dittature militari è questo. E che sia stato usato il metodo del ginocchio sopra il collo per impedire la respirazione: non dovrebbe stupire a nessuno, ormai si pratica ovunque, soprattutto dove le forze di sicurezza sono state adestrate dai più esperti in repressione a livello mondiale. A Vicenza abbiamo una importante scuola di formazione per questi obiettivi, il CoESPU.
Seguendo i fatti della Colombia, dove il popolo si sta mobilitando per chiedere le dimissioni dell’attuale presidente (che non definirei democratico) si legge che la quantità di morti e feriti, e anche di persone scomparse, è altissima. Come è successo in Cile un anno fa, e come succede in tutta la cosidetta America Latina quando una parte della popolazione, fondamentalmente indigena, alza la testa e chiede rispetto, riconoscimento dei diritti umani, insomma pari dignità con le classi al potere.
In Uruguay l’attuale governo sta seguendo i passi indicati dal neoliberismo, abrogando o ignorando le leggi promosse dai governi di centro sinistra precedenti. Soprattutto per quanto riguarda l’estrattivismo, l’industria alimentare, e il land graving. Così come ha fatto Macri in Argentina.
E per farlo si attrezzano con due metodi: la diffamazione attraverso la stampa e la giustizia complice, e la repressione.
Resta da augurarsi che la familia di Luca ottenga chiarimenti, e risarcimento morale almeno per quanto è successo. E che il governo italiano superi i condizionamenti dei trattati economici con il Mercosur per ottenere tutte le informazioni necessarie.
Ricordiamo che in Uruguay l’immigrazione italiana è stata altissima e fondamentale anche per lo sviluppo di quella bellissima terra, che una volta era chiamata la Svizzera dell’America Latina per la sua tradizione democratica.