Appunti

Note sul Pasolini luterano

7 Mins read

Qualche settimana fa mi è casualmente capitato in mano Lettere luterane di Pier Paolo Pasolini, una lettura poi rivelatasi non agilissima. In questa raccolta di interventi – pubblicati nel 1975, anno della sua morte – Pasolini utilizza un linguaggio duro, involuto, a tratti così intricato da sfiorare l’ineffabile. Eppure, il Pasolini luterano dice cose stimolanti. E io, stimolato dalla lettura, ho buttato giù delle note sul testo, come controcampo preventivo alle celebrazioni dell’anno pasoliniano (centenario della nascita), che ci regaleranno – immagino – perle giornalistiche e documentaristiche à la Veltroni cineasta.

Attenzione, però. Note, queste, piuttosto decontestualizzate: poco so di Pasolini, molto ne ho sentito parlare, quasi niente di suo ho “consumato”. Note su un testo, quindi, più che su un’opera.

1. Pasolini e i boomer. Un tema centrale di Lettere luterane è quello dei giovani, a partire dalla prima parte degli scritti, un tentativo di “trattatello pedagogico” incompiuto. In esso, Pasolini prende come immaginario interlocutore un giovane sottoproletario napoletano, il quindicenne Gennariello, verso il quale si pone in un atteggiamento di amichevole distacco. Anche nel resto degli interventi pasoliniani, il tema dei giovani torna – e giustifica la scelta dell’anonimo curatore di aprire il volume con un contributo intitolato significativamente “I giovani infelici”.

Dal suo osservatorio di frequentatore della gioventù, Pasolini commentava i caratteri del cambiamento antropologico avvenuto nei giovani italiani nel breve corso di un decennio. «Il loro aspetto fisico – scriveva per esempio – è quasi terrorizzante, e quando non terrorizzante, è fastidiosamente infelice». A questo degrado esteriore corrispondeva un degrado interiore, dettato dall’uniformazione piccolo-borghese a cui la generazione degli adolescenti di allora stava andando incontro. Tale degrado, ripeteva Pasolini, altro non era che la naturale conseguenza della grande “apocalisse” che aveva colpito il (suo) mondo: la rivoluzione consumistica.

Uno sfacelo che aveva colpito in particolar modo la gioventù proletaria e sottoproletaria, abbandonata ormai ad una criminalità cinica e violenta. In questo scenario, gli unici giovani a salvarsi, per Pasolini, erano quelli iscritti al Pci. Non i suoi elettori, no: solo gli iscritti. Non è chiaro a chi Pasolini si riferisse precisamente, ma inevitabilmente torna alla mente una celebre foto che lo ritrae durante una manifestazione – proprio nel ’75 – intento a scrutare il già menzionato Veltroni (il cui destino è noto ai più) al fianco di un altrettanto giovane Ferdinando Adornato (allora “giovane iscritto al Pci”, nei decenni successivi brillante terza fila di Forza Italia prima e dell’Udc poi). Se la storia di questa foto – e della sua diffusione – meriterebbe uno studio a parte, è evidente che Pasolini aveva riposto nell’allora gioventù del Pci una fiducia che poi la storia avrebbe dimostrato poco fondata.

Ma tanto fa. Rimane curioso il ritratto che PPP tratteggia di una generazione – adolescente nei ’70 – che avrebbe poi calcato la scena della società italiana (ed europea) fino ai giorni nostri: i boomer. La polemica oggi animata dai miei coetanei (millennial) si arricchisce così di un elemento di interesse. Non già di una critica a posteriori ad una generazione cresciuta numerosa e ingombrante in un’economia in crescita, con l’ascensore sociale ben attivo (per chi era interessato) e un meccanismo redistributivo che creava le condizioni per uno sviluppo sociale e culturale poco traumatico. Quando piuttosto una critica ad anteriori ad una generazione che ancora doveva impadronirsi del potere (economico, sociale, culturale e simbolico), ma che già mostrava segni – a detta di Pasolini – preoccupanti.

Cosa rimane a quarant’anni di distanza di questa critica pasoliniana ai boomer è un elemento, per così dire, assolutorio. Un’attenuante che oggi è facile trascurare, venendo influenzati dell’evoluzione successiva di quella generazione. I boomer – prima di diventare quello che sono diventati – hanno avuto in serbo dal destino un ruolo piuttosto drammatico: quello di essere la prima generazione a crescere in un mondo consumista. Non è facile capire cosa questo abbia significato. Oggi i loro fallimenti, disastri e bizzarrie servono da insegnamento e da guida alle generazioni successive. Loro, invece, non avevano idea del mondo in cui stavano crescendo. Le storie dei loro genitori – ma anche dei giovani adulti poco più vecchi di loro – erano storie di un altro mondo. La frattura della società del benessere aveva creato un mondo nuovo. E nei mondi nuovi, inevitabilmente, ci si perde.

2. Pasolini e il consumismo. È questo forse l’elemento pasoliniano a cui ero più preparato nella lettura. Mille volte ho sentito parlare dell’ultimo Pasolini “anti-moderno”, “nostalgico”, in fondo “reazionario”. Lette le Lettere, non sorprende la necessità di esorcizzare questo Pasolini – perché proprio questo Pasolini è il più insopportabilmente attuale. In più occasioni, PPP sottolinea come Marx abbia parlato nel Capitale di fenomeni ancora ben lontani dal realizzarsi. Ecco, l’impressione è che Pasolini sia stato nelle Lettere parimenti profetico. La sua critica al consumismo doveva forse suonare un po’ melodrammatica nel 1975, e forse Pasolini in fin dei conti ci si trovava bene in questo personaggio cassandrico e catastrofista. Oggi, al contrario, la sua analisi suona del tutto equilibrata. Forse i giovani sottoproletari romani del ’75 non erano così diversi da quelli del ’65. Forse la cancellazione della cultura popolare non era ancora così diffusa come lui gridava. Ma i giovani sottoproletari del ’75 sono cresciuti, le generazioni preconsumistiche sono morte, e la cancellazione della cultura popolare è diventata un dato di fatto.

Eccoci, quindi, di fronte alla parte più attuale di Pasolini. La critica al consumismo. Critica radicale, irriducibile, sostanzialmente nostalgica di un mondo che (da autodichiarato borghese) inevitabilmente finiva in parte per idealizzare. Il mondo contadino, preindustriale, dove gli oggetti del quotidiano venivano prodotti da mani umane e non da stampi meccanici. Un mondo in cui l’egemonia degli oggetti (o meglio, delle merci) era meno forte e capillare. Un mondo in cui proletariato e borghesia vivevano in mondi diversi e separati, e non in un unico mondo uniformato dal dominio del mercantilismo.

Intermezzo: viene da chiedersi come sia stato possibile che Pasolini sia diventato il nume tutelare (ed eponimo) della scuola politica del decadente Pd renziano nel 2017, auspice l’ineffabile Massimo Recalcati. Non che sorprenda la capacità onnivora del neoliberalismo. Ma, insomma, anche all’ingordigia ci sono dei limiti.

Per concludere questa nota: il Pasolini meno sorprendente era anche il più feroce. E non in scritti destinati ad un’élite di intellettuali. Questa sua critica al consumismo e ai suoi effetti sociali e culturali avveniva – è bene sottolinearlo – sulle pagine de Il Corriere della Sera, il giornale più venduto d’Italia, un giornale inerentemente borghese (per quanto, in quel momento, progressista). La sua era una voce isolata, molto probabilmente – e non avrebbe potuto essere altrimenti, in un paese in cui lo sviluppismo incrociava (e migliorava) le condizioni materiali di gran parte della popolazione. Ma quanto meno era una voce.

È difficile pensare ad un’analoga voce che si ponga oggi con la stessa durezza di fronte al cambiamento che ha sconvolto l’antropologia occidentale negli ultimi vent’anni. La rivoluzione digitale – che ha reso le merci ancora più pervasive, rendendo la persona stessa una merce consumata/consumante – vive in e si nutre di un incontrastato coro d’approvazione. Su Il Corriere della Sera, oggi, si sgranano i benefici della digitalizzazione come un tempo si sgranavano i rosari: meccanicamente.

3. Pasolini e “processare i gerarchi dc”. È questo il titolo di un intervento contenuto nelle Lettere – titolo redazionale, si capisce, ma perfettamente rispondente al contenuto (per altro ripetuto nei mesi successivi). In sostanza, PPP proponeva di mettere alla sbarra, in un processo penale, la dirigenza della Democrazia Cristiana. E lo scriveva apertamente, sulle pagine del Corriere. È bene riprodurre i capi di imputazione di questo processo nella loro integrità:

Indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione di denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la Cia, uso illecito di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia, Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di punirne gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani (responsabilità, questa, aggravata dalla sua totale inconsapevolezza), responsabilità nella condizione, come si usa dire, paurosa, delle scuole, degli ospedali, e di ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell’abbandono «selvaggio» della campagne, responsabilità dell’esplosione «selvaggia» della cultura di massa e dei mass-media, responsabilità della stupidità delittuosa della televisione, responsabilità del decadimento della Chiesa, e infine, oltre a tutto il resto, magari anche distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad adulatori.

In queste poche righe, ci sta tutto il Pasolini delle Lettere (che è molto di più, evidentemente, del Pasolini di queste mie note). Il linguaggio, la durezza, la radicalità. E anche la sua percezione di decadenza sociale e culturale del mondo che gli sta attorno. Ma ci sta anche qualcos’altro, un sentimento di cui Pasolini si rendeva interprete (e forse alimentava): la volontà di una giustizia sommaria che decapitasse – quanto meno simbolicamente – la politica italiana. Qualcosa di simile alla giustizia sommaria del giudice de In nome del popolo italiano (1971) di Dino Risi, che decide di distruggere le prove che avrebbero scagionato l’imprenditore corrotto e corruttore in un atto di disgusto della società italiana del momento.

Ma il “Processo” di Pasolini è qualcosa di simile, anche, a qualcosa che effettivamente si realizzò dopo la sua morte. Poco meno di tre anni dopo, le Brigate Rosse uccidevano il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro al termine di un “processo proletario” basato su imputazioni a tratti simili a quelle di Pasolini (imputazioni, è curioso notarlo, non poi così diverse da quelle contenute negli scritti della prigionia di Moro a carico dei suoi stessi compagni di partito). Diciassette anni dopo, Tangentopoli avrebbe effettivamente portato in tribunale la dirigenza democristiana, falcidiandola e portando a termine quella che Pasolini aveva definito “dittatura clerico-fascista”.

No, Pasolini non è stato l’ispiratore né delle Brigate Rosse né di Tangentopoli. Eppure, la sua è stata una voce rilevante nella società che avrebbe assistito a questi stessi fenomeni politico-giudiziari. La Dc ha pagato le sue colpe, si potrebbe dire, ma non per quello che gli imputava Pasolini, cioè la distruzione dell’ordine preconsumistico del paese. Se Pasolini aveva argutamente notato come la Dc avesse sostituto nella sua “costituzione materiale” la forza morale della Chiesa con quella delle merci, mai avrebbe immaginato che quegli stessi «giovani iscritti al Pci» in cui riponeva tanta fiducia avrebbero nei decenni successivi portato avanti un’analoga sostituzione valoriale nel loro mondo – generando, quindi, le condizioni per quel Pd renziano che gli avrebbe infine dedicato una scuola di partito.

Related posts
Appunti

«Non respiro» - chi ha ucciso Luca Ventre?

2 Mins read
Quando ho saputo dei fatti che hanno portato alla morte di Luca Ventre, a gennaio scorso, non mi sono meravigliata di come…
Appunti

“Non farmi spiegare”: come il maschilismo striscia dentro di noi.

4 Mins read
Dobbiamo ringraziare i personaggi pubblici. Davvero: se oggi si parla di politica è principalmente grazie a loro. Lo abbiamo visto con la…
Appunti

Dei giudizi e degli abusi

6 Mins read
Questo articolo è una riflessione stimolata dal precedente contributo di Giuseppe riguardo il caso di gestione collettiva di uno stupro all’interno di…