Il tema dei senza dimora e dell’housing (o social housing, termine universalmente utilizzato oggi per parlare di politiche abitative) è uno dei temi centrali nella costruzione di una società in cui nessuno viene lasciato indietro o, per esser più precisi, per strada.
Si tratta di un argomento spesso non trattato se non al più da associazioni e cooperative, che devono però investire la maggior parte delle loro energie e risorse a effettivamente lavorare per far fronte a questa situazione. Siamo d’altronde in un periodo dove la cosiddetta campagna elettorale permanente è la regola, dove la maggior parte dei politici mira all’aumento e alla conservazione poi di un consenso spesso personale e, ci duole dirlo così, il sociale non porta voti.
Coalizione Civica per Vicenza ha voluto però approfondire la questione, organizzando due serate di approfondimento (online, per limitazioni legate al covid): la prima è stata un focus sulla città di Vicenza, in particolare sulla situazione dei senza dimora e sull’emergenza freddo; nella seconda si è trattato il tema dell’housing attraverso l’esempio della città di Ravenna e del progetto “housing first”. Fare un riassunto delle due serate è quindi l’occasione per fare una sintesi generale per un tema che riguarda tutta la nostra società ed è quindi, di fatto, universale.
In questi anni la situazione è precipitata in tutte le città, non solo a Vicenza. Pare infatti che, tra bilanci sempre più ristretti e scelte politiche sempre più frenetiche, le amministrazioni non siano più in grado di dare casa alle persone.
La casa è simbolo di dignità e di sicurezza. Nell’ultimo anno poi ha assunto un significato ancora più importante, diventando sinonimo di salute e, in senso più ampio, di responsabilità. In un anno in cui in tutto il mondo siamo stati invitati – quando non obbligati – a stare nella nostra casa, è tornato d’attualità il tema di chi una casa non ce l’ha. Ancora una volta, però, i senza dimora sono tornati protagonisti nel silenzio generale: si è dovuto assistere a un’emergenza nell’emergenza perché diventassero prioritari nell’agenda politica e non solo sociale.
I senza dimora e l’emergenza freddo a Vicenza.
È il 4 febbraio 2021, la temperatura di notte oscilla intorno agli 0°. All’improvviso un terremoto mediatico colpisce la città di Vicenza: su FanPage esce infatti un report secondo cui “a Vicenza gli addetti alla pulizia urbana sparano acqua gelida sui clochard e prendono le coperte per gettarle via”. Dopo una rivelazione del genere, il dibattito politico non ha potuto che infiammarsi, tra comunicati, attacchi e addirittura minacce di querela per diffamazione.
La storia pare avere origini distanti: sembra infatti che tutto nasca il 7 settembre, alla vigilia della Festa dei Oto, quando degli operatori AIM avrebbero pulito il porticato che conduce al Santuario di Monte Berico con lance idropulitrici. Lì spesso alcuni senza dimora trovano riparo durante la notte, e uno di loro – viene raccontato – si sarebbe innervosito per quella azione che pareva compiuta proprio con spirito vessatorio contro di loro. Da lì si sarebbe innescata una reazione a catena dal lungo riverbero: prima le denunce non ascoltate dai media, poi l’emersione di casi di persone effettivamente bagnate durante la notte, le segnalazioni dell’unità di strada della Caritas e, infine, anche i racconti e le testimonianze di senza dimora a cui sarebbero state buttate via le coperte utili per ripararsi dal freddo gelido. Fino a quando il caso non è diventato appunto di rilievo nazionale.
Non ci dilungheremo ancora su questo specifico fatto: proprio nel nostro sito abbiamo dedicato un approfondimento a riguardo ancora il 26 ottobre del 2020. Ancora più spiazzante in questa sintesi circa l’emarginazione sociale è invece la risposta principale di chi vuole trovare una scusa per non trattare il tema e per non investire tempo e risorse nell’aiuto del prossimo: “Sono loro che vogliono rimanere in strada”. Una frase che tutti noi avremo sentito centinaia di volte. Un’inferenza arrogante, in cui emerge evidente il senso comune della nostra società, per cui ognuno è artefice e responsabile diretto del proprio presente e futuro.
La storia non è proprio così, e le risposte non possono che venire dalla società. Non si può pensare che il ritmo del progresso sia uno e uno solo e se una persona, per un qualsiasi motivo, si trova a rallentare, questa debba essere lasciata indietro. Soprattutto perché, secondo questa idea, chi non è riuscito a rimanere al passo non potrà che rimanere sempre più distante se gli altri non rallenteranno per aspettarlo. E se si innesca questo meccanismo, se si considera impossibile raggiungere il resto della società, sarà normale quindi che chi si ritrova in quella situazione finisca per bere, drogarsi e rinchiudersi in un eterno presente senza futuro.
Non siamo più nell’era del senza tetto “romantico”, dell’artista che vuole vivere in strada. I senza dimora sono persone con tutte le fragilità che abbiamo anche noi. E c’è chi tra loro non vuole, ad esempio, dormire con 5, 10 o addirittura 15 persone nella stessa stanza. E come biasimarlo.
Oltretutto c’è grande incertezza nei numeri: spesso sono risultati mancare i posti letto per la notte. A Vicenza, ad esempio, si dovrebbero avere 60-65 posti, a cui per l’emergenza freddo ne sono stati aggiunti 35. Ci sono poi 38 posti Caritas e altri 14 di altre cooperative. Tutti questi, a inizio 2021, risultavano occupati. Da questo conto pare inoltre rimanessero escluse una ventina di persona, e attenzione: quelli di cui si è a conoscenza. Alcuni infatti potrebbero vivere in capannoni dismessi e case abbandonate, ma lì indagare risulta difficile e talvolta “pericoloso”: si tratta d’altronde di entrare in casa di qualcuno.
A questo punto, diventa fondamentale immaginare nuove soluzioni che vadano oltre all’emergenza e che possano diventare strutturali nel tempo. In questa direzione va il cohousing, e il racconto di chi a Ravenna ha dato vita al progetto “housing first” pare confermarne la bontà nel lungo periodo.
Soluzioni a lungo termine: il cohousing.
A intervenire nel secondo appuntamento organizzato da Coalizione Civica sono tre persone che hanno collaborato fin dalla nascita a questo progetto: Dora Casalino quale coordinatrice, Julia Preto Cerini come educatrice e Tommaso Valente, coinvolto in qualità di regista e comunicatore. È la stessa Dora a dirsi quasi sorpresa dall’invito: come sottolineavamo all’inizio di questo articolo non è scontato infatti che la politica si interessi del tema dei senza dimora.
Forse un po’ a sorpresa, viene sottolineato come il progetto, che nasce a Ravenna, vada poi a metter radici nella provincia, che risulta essere una comunità molto più predisposta ad assorbire e integrare chi entra a farne parte, un luogo dove c’è più solidarietà e ci sono risposte anche più importanti di quelle che avvengono nelle grandi città.
Nel trienni di sperimentazione, sono 70 le persone a cui è stata data casa, per circa 20 appartamenti distribuiti nella provincia di Ravenna. Di queste locazioni, 4 sono state lasciate a chi si è trovato lì: un risultato importante (il 20% del totale!) che conferma come, quando si dà una casa alle persone, queste possano poi costruirsi piano piano una nuova vita anche in autonomia.
È proprio questo infatti l’obiettivo di “housing first”: l’autonomia abitativa. Quando un partecipante infatti prende parte al progetto, si chiede di firmare un ‘contratto’, non d’affitto – che rimane in capo alla cooperativa – ma piuttosto una presa di impegno di alcuni punti ben precisi legati al rispetto e alla partecipazione attiva.
Non è sicuramente un’esperienza facile. Racconta Tommaso che il primo video che ha girato per promuovere il progetto è stato filmato in una casa dove i due condomini volevano accoltellarsi. Letteralmente. Ma un lavoro di comunicazione è fondamentale anche per i partecipanti stessi per immaginarsi e raccontarsi.
È quindi interessante un tema emerso in entrambi gli appuntamenti di approfondimento: la necessità di trasversalità. La questione dei senza tetto, quella della casa, e più in generale, del sociale, non possono essere infatti argomenti divisivi: la persona non può essere terreno di scontro tra fazioni ideologicamente contrapposte.
Potrebbe peraltro sembrare “facile” avviare un progetto come “housing first” a Ravenna, in Emilia. Eppure viene riferito di un progetto ben funzionante di cohousing anche a Verona. A mancare spesso è la volontà politica, e la conseguente scarsa conoscenza dei costi e delle modalità dei progetti. A Ravenna, ad esempio, tutto è cominciato con uno stanziamento di fondi difficilmente immaginabile: parliamo infatti di soli 120.000€, di cui 50.000€ a carico del Comune e gli altri recuperati con un bando del Ministero dell’Interno. Poco per le casse comunali.
Diventa centrale però il coinvolgimento della cittadinanza, il racconto delle esperienze e, soprattutto, dei dati. Ci racconta Dora di una mozione in consiglio comunale a Ravenna che poneva dei dubbi sul finanziamento iniziale. Dubbi che sono stati subito accantonati quando è stato riferito che il 60% dei senza dimora coinvolti nel progetto di “housing first” era italiano, notizia che ha fatto sì che si strutturasse un consenso trasversale all’iniziativa.
Il ruolo della politica.
È importante a questo punto sottolineare il ruolo del Comune. Abbiamo fino a qui parlato di associazioni, cooperative e Caritas: si potrebbe erroneamente pensare che i migliori soggetti a gestire il sociale siano enti terzi, a cui il Comune si appoggia per la gestione dei servizi. Ma non è così: questi fondamentali attori stanno intervenendo per far fronte alle spesso sistematiche lacune delle amministrazioni.
Prendiamo ad esempio “housing first”: questo progetto non ha l’obiettivo di farsi carico delle persone. Lo sottolineano i lavoratori: quello spetta ai servizi pubblici. L’associazione e/o la cooperativa sono enti del terzo settore che operano nel sociale e che non possono vincere la battaglia dei senza dimora in solitudine: l’housing non può funzionare se non c’è un impegno pubblico di servizi alla persona.
Più in generale, la carità, concetto di natura cristiana ben radicato nella nostra cultura, non può essere la regola. La bontà e l’altruismo sono valori che arricchiscono la società, ma non possono sostituirsi alla politica. È questa infatti che deve assumere un ruolo da protagonista ed è la cittadinanza che deve pretenderlo, perché non possiamo accettare che qualcuno rimanga indietro.
In questo senso l’housing e il modello Housing First, possono essere un primo passo per ripensare il sociale in un’ottica comunitaria e non assistenziale. Un vero e proprio primo punto di un’immaginaria pagina di un programma politico. Perché la casa è la tessera di un puzzle che è la città: senza quella, si è automaticamente esclusi, senza gli elementi per esserne parte.
Ci teniamo quindi a chiudere con una frase tratta dal compendio “Sicurezza”, di Mauro Cereghini e Michele Nardelli: “La sicurezza è altro dal chiudere i porti per impedire gli approdi. Piuttosto è scrutare l’orizzonte per comprendere i segni di un tempo che cambia e che richiede nuove bussole.”
Per Coalizione Civica per Vicenza
Leonardo Nicolai
Lucia Tomba