Stiamo uscendo dall’anno forse più difficile per la politica: non solo a livello nazionale, ma anche nella nostra regione e nella nostra città. Come si può infatti fare politica senza trovarci, guardarci, anche infervorarsi l’uno di fronte all’altro? In quest’anno tutto ciò è venuto a mancare, e così il lavoro politico più attivo.
Coalizione Civica per Vicenza è un’esperienza nata su proposta di tutti i partiti e movimenti della sinistra vicentina ormai più di tre anni fa in vista delle elezioni comunali a Vicenza. Coalizione Civica (da qui abbreviata in CC) non partecipò alle primarie del centrosinistra, anche perché il PD si era già mosso in anticipo per cercare di raccogliere l’eredità di Achille Variati. In quella fase CC ha cercato di darsi un metodo, prima che un nome, che si basasse sulla partecipazione: ad esser sovrana era l’assemblea, formata da tutti coloro che si sentivano di far parte di una, appunto, coalizione di cittadini.
Proprio attraverso il confronto e la decisione dell’assemblea si è deciso infine di scendere in campo con una lista civica a supporto di Otello Dalla Rosa, candidato vincente delle primarie. Non è stata una scelta semplice: le differenze con le altre numerose liste del centrosinistra c’erano sicuramente, ma siamo anche convinti che certe differenze siano una ricchezza e che rendano i progetti più completi e più solidi. Ci si potrebbe chiedere se sia possibile essere così diversi in città: sì, e dopo chiuderò proprio su questo tema. Inoltre, sul piatto c’era un’altra, eterna questione: è più facile cambiare le cose dall’interno, prendendo parte a un gruppo molto più eterogeneo, o è più semplice costruire una propria identità più chiara, forte e stabile in maniera indipendente? Insomma: non è stata una questione semplice, e per questo la partecipazione è così importante in politica.
Alla fine il centrosinistra ha perso ma CC ha preso quasi il 4%, riuscendo a eleggere un consigliere comunale: se non è un risultato straordinario (che comunque deve essere contestualizzato), è ben di più di ciò a cui la sinistra ci ha abituato nei tempi più recenti. È evidente infatti che questa area abbia subito negli anni una forte contrazione del consenso.
Ma la cosa più grave è un’altra: la stanchezza. A causa di scelte poco comprensibili e dell’abbandono della costruzione di una chiara e forte proposta politica, la stanchezza dei militanti e degli elettori è sempre più evidente. In contrapposizione a questa tendenza, trovo ci sia stata una decisa ventata di freschezza nel panorama politico Veneto: “Il Veneto che Vogliamo”, nata come realtà aggregatrice tutto quell’universo di civiche comunali, e poi diventata lista candidata alle elezioni regionali, riuscendo infine anche a entrare in consiglio regionale.
CC ha deciso di impegnarsi attivamente in questo progetto. In provincia di Vicenza in lista ha trovato posto anche Valentina Dovigo, che ha raccolto quasi 1500 preferenze: un risultato non indifferente. Ma, al di là dei voti personali, trovo che “Il Veneto che vogliamo” abbia rappresentato una bella novità per un motivo in particolare: finalmente mi sono sentito inserito in una rete. Un’area sempre più sgretolata e i legami all’interno di questa conseguentemente più deboli stavano infatti condannando lentamente le esperienze civiche all’isolamento, ma l’anno scorso c’è stato un deciso cambio di passo grazie a “Il Veneto che vogliamo”.
Dall’altro lato però c’è stato un grande aspetto negativo, e cioè la corsa in competizione tra loro di due liste, quali “Il Veneto che vogliamo” e “Europa verde”. Una divisione questa che non ha aiutato nessuno se non ad avere quasi la sicurezza di eleggere un consigliere a testa, per come funziona il metodo elettorale D’Hondt. Guardando a un progetto politico più ampio, oggi ci troviamo con due ottime consigliere, Elena (VcV) e Cristina (EV), ma con due rispettive basi deboli, che loro stesse devono cercare di tener vive facendo così il doppio della fatica.
Ne ero convinto per il Veneto, e ne sono convinto per Vicenza: l’orizzonte da ricercare è la vera unione dei movimenti e partiti di sinistra e di quelli ambientalisti. Sia perché la sinistra ha bisogno di nuovi stimoli, sia perché i movimenti ambientalisti non possono esimersi da una politicizzazione della loro proposta ecologista, che sia distante dalle logiche liberiste. Mentre il secondo punto parla da sé, a suffragio del primo non può che far pensare questa rilevazione di SWG di pochi giorni fa.
A questo punto devo fare una parentesi nazionale. Non mi interessa dar giudizi di merito a un governo che deve ancora, di fatto, attuare le sue politiche. Ma sono preoccupato. Trovo infatti potenzialmente pericoloso un governo dove si perdono completamente i confini politici. L’identità infatti si trova nella contrapposizione: dove inizia l’altro, finisco io. Se si perdono questi confini, si perde anche l’identità, e se si perde questa allora si apre lo spazio all’idea che un partito vale l’altro.
A livello comunale questa retorica c’è già e a Vicenza l’abbiamo visto. L’importante, d’altronde, è che siano semplicemente dei “bravi ragazzi”, no? No, assolutamente no.
In questi mesi uno di quei “bravi ragazzi” ha prima eliminato la clausola antifascista per la concessione dello spazio pubblico. Il minuto successivo Fratelli d’Italia ha esultato affermando che avrebbe ricominciato a fare gazebo, perché prima si rifiutava di affermare di rigettare il fascismo. Quello stesso bravo ragazzo voleva vietare le aperture dei negozi etnici in centro: una battaglia tipica di chi in terza media vuole dirsi di destra, salvo poi crescere. E sempre quello stesso bravo ragazzo ha definito 100 g di erba sequestrata “100 g di morte”, arrivando a definire “assassini” gli spacciatori, sapendo che non potrebbe mai ricevere una querela pur per un’affermazione così grave (e invece, a sorpresa, l’ha ricevuta!). Questi “bravi ragazzi” nascono proprio dalla logica per cui “uno vale l’altro”.
No, uno non vale l’altro: ci sono loro e ci siamo noi. I confini devono essere chiari ma deve esserlo anche ciò che riempie ogni area, l’identità, altrimenti è naturale che le persone dopo guardino altri spazi. Immaginatevi due giardini: in uno c’è un bel muretto a delimitarlo, e all’interno potete scorgere un prato tenuto bene con un orto ordinato; poco più in là invece c’è una staccionata, rotta in più punti e assente pure da un lato, e all’interno erbacce incolte si confondono con terriccio e ghiaia. Verso dove volgereste lo sguardo?
Penso che la situazione della sinistra in Italia sia rappresentata più dall’immagine del secondo giardino che dal primo. E proprio a proposito di verde, auspico che un’identità sempre più debole si dia nuovo vigore attraverso l’unione con i movimenti ambientalisti. In Veneto non è accaduto, a Vicenza spero accada nel 2023, quando si voterà di nuovo, ma è importante che anche in Italia si pongano le basi politiche per un destino comune di queste realtà. Urgentemente.