di Leonardo Nicolai
Se c’è una cosa che mi piace guardare di un film è il trailer. Sembra assurdo, e dovrebbe essere ininfluente per giudicare il film stesso, ma per me è importante. Forse è per una sorta di deformazione professionale: lavorando in comunicazione, può essere comprensibile un’attenzione particolare per la promozione in generale. O forse perché in tempi più recenti i trailer sono diventati una componente sempre più importante del sistema cinema ad alto budget. Prima di approcciarmi alla visione di “Underground Ballet”, uno dei film in concorso al Working Title Film Festival, ho quindi guardato con curiosità il trailer.
Si tratta di un’unica scena del film, tagliata abbastanza brutalmente, dove viene seguita passo passo una delle allieve della scuola di danza di Nadya, la protagonista, mentre attraversa una folla di uomini che si stanno recando allo stadio. Vengono alternate immagini di urla e cori dallo stadio, di persone ammassate vestite dei colori della propria squadra, e della ragazza che si fa largo tra la folla con un timido sorriso. Viene seguita dalla telecamera fino a un edificio adiacente, mentre si lascia alle spalle quel luogo pieno di passioni viscerali e ardori istintuali. Dalle urla alla serenità, dai suoni indistinti alla melodia. Ci viene quindi presentata Nadya, insegnante di danza, intenta a guidare un gruppo di ballerine sostenendo a mezza voce le più giovani.
Su questo ossimoro si basa tutta la promozione del film, il quale prende poi una piega ben diversa. “Underground ballet” parla principalmente della storia di Nadya, e lo fa proprio attraverso le sue stesse parole, in una sorta di lunga intervista autobiografica: il calcio trova spazio solo in fase di montaggio, con una serie di split screen utili principalmente a dare ritmo a questo medio(più che lungo)metraggio.
Nina Timofeyeva, prima ballerina del Bolshoi Ballet di Mosca, arrivata ormai a fine carriera decide di trasferirsi a Gerusalemme con la figlia Nadya, scelta che mette fine al sogno della bambina di ripercorrere i successi della madre. Non essendoci strade per la realizzazione personale, Nadya sceglie quindi di dar vita a un luogo che possa coltivare giovani talenti in virtù di un successo potremmo dire collettivo. Non c’è competizione tra gli studenti della scuola di danza, ma anzi felicità per i traguardi altrui, poiché tutti mirano al medesimo obiettivo: la perfezione.
Le profonde differenze tra calcio e danza emergono non tanto visivamente, quanto più nella conoscenza e comprensione del lavoro quotidiano di Nadya. Una lenta e sobria costruzione, contro una veloce ed eclatante competizione. Se dovessimo trovare un termine per differenziare come vengono dipinti in “Underground Ballet” i due sport, penso che questo potrebbe essere: gravità. La danza è infatti una continua ricerca di elevazione, fisica e spirituale, rappresenta “una fuga dalla realtà” ed “è liberazione”, come afferma la stessa protagonista del film. Un avvicinamento a Dio che è il motivo peraltro che la madre di Nadya a trasferirsi proprio a Gerusalemme. Il calcio è invece l’opposto: il suo simbolo, la palla, è anche il simbolo dell’inevitabile caduta verso il terreno.
Lina Chaplin, regista di “Underground ballet”, mette quindi in scena uno scontro tra sistemi complessi, ognuno dotato di una propria spinta gravitazionale. La storia di Nadya si rivela essere la storia di tutte quelle persone che dalla vita hanno solo ciò che con fatica riescono ad ottenere, giorno dopo giorno. La storia di chi non ha possibilità di emergere, e che sceglie quindi di votarsi agli altri, con il grande obiettivo di dar loro speranza e contribuire a disegnare un destino diverso.
Una strada difficile e impervia, che ha la sua rappresentazione fisica nella scuola stessa di Nadya: ad inizio film è chiusa in una singola stanza e le riprese risultano essere chiuse e, talvolta, claustrofobiche (addirittura in un passaggio la telecamera si vede riflessa negli specchi a parete); proseguendo nel racconto, compaiono nuovi spazi e le riprese si diffondono quindi in più stanze; nel finale viene mostrato il nuovissimo camerino costruito su un soppalco. Uno sviluppo fisico che è sviluppo spirituale, una storia di un luogo che è anche la storia di Nadya, e che rappresenta ciò che differenzia la danza dal calcio: la sfida alla gravità.