Come possiamo vincere gli anni ’20 e costruire un mondo migliore.
In questo saggio, James Schneider ci spiega, riferendosi al contesto britannico, perché i socialisti devono continuare a impegnarsi all’interno del Labour Party, per quanto Corbyn non ne sia più il leader. Prendiamolo come spunto sull’importanza di avere un partito, qui alle nostre latitudini. Magari imparando qualche lezione dalla persona ritratta nella foto qui sopra, che per quanto abbia appena perso delle elezioni, ha anche saputo vincere.
La rapida trasformazione del Labour da partito che poneva al centro la tassazione dei ricchi ad un partito che rischia di essere superato a sinistra dai Conservatori ha disorientato i socialisti. Bellimbusti inamidati e appassionati di West Wing sembrano più a loro agio nel partito che sindacalisti, ambientalisti e antirazzisti.
Ma la nostra risposta dev’essere il realismo, non l’esodo. Non c’è alcuna terra promessa in un nuovo partito di sinistra, né nei Verdi. I movimenti sociali da soli non vinceranno gli anni ’20; necessitano di un partito politico che li unisca e ambisca al potere statale. I partiti non si limitano a riflettere lo sviluppo corrente delle forze sociali – le plasmano anche. I partiti costruiscono potere di classe tanto quanto lo riflettono.
Tuttavia, il Labour non è un partito socialista. Persino quando era guidato da un socialista, non adottò una strategia socialista coerente. Piuttosto si tratta di un partito che si è storicamente strutturato con 4 diverse orientazioni politiche: due dalla classe lavoratrice, due dalla classe dei professionisti.
Le due orientazioni della classe lavoratrice sono il socialismo, che cerca di trasformare il sistema esistente negli interessi della classe lavoratrice, e la socialdemocrazia di stampo conservativo, che aspira a migliorare la sorte di alcuni lavoratori all’interno del sistema esistente. Le due orientazioni della classe dei professionisti sono da un lato il Fabianesimo, che si prefigge di gestire riforme progressiste dall’alto e senza conflitto sociale, e il liberalismo sociale, che insegue tenui riforme volte a umanizzare il sistema.
Queste osservazioni non dovrebbero allontanare i socialisti dall’impegno nel Labour. La nostra partecipazione al suo interno è di critica importanza, non solo in quanto maggiore partito che possiamo influenzare ma anche perché – per quanto improbabile possa apparire adesso – potremmo ottenere un’altra occasione per trasformarlo. Considerato quanto arrivammo vicini ad eleggere un primo ministro socialista, sarebbe bizzarro decidere che sia impossibile adesso.
Keir Starmer vinse la leadership con un’offerta superficialmente attrattiva di mantenere il nucleo delle proposte avanzate da Corbyn fornendo al contempo un’efferata opposizione al governo di Boris Johnson. I primi 11 mesi del suo mandato hanno dimostrato che non è amico della sinistra. Dalla sua elezione, o si è allontanato o si è attivamente opposto alle soluzioni progressiste, optando invece per un’opposizione manageriale e tecnica al governo. Ha sospeso il suo predecessore e lasciato che gli organi del partito legati a Blair si scagliassero contro la sinistra.
Jeremy Corbyn e tutti i funzionari di partito erroneamente sospesi meritano la nostra solidarietà. In ogni caso, i socialisti devono diffidare dal fare di tutto questo una battaglia attorno a Corbyn. Gli attacchi da lui subiti non provengono dal fatto che l’establishment britannico e i suoi satelliti nel Labour odiano lui in quanto persona, ma bensì dalla loro opposizione a quanto lui rappresenta; Corbyn sarebbe il primo a formulare quest’osservazione. Maggiormente lasciamo che il movimento sia espresso attraverso un individuo, più la classe dirigente si metterà in moto per distruggere quell’individuo. Le persone ispirate da Corbyn gli devono un movimento più profondo.
Una delle armi utilizzate contro Corbyn è stata quella dell’antisemitismo, piaga diffusa all’interno della società britannica, ma addossata in questi anni alla sinistra, zittita dalle accuse e dall’equiparazione dei media tra antisemitismo e sostegno alla causa palestinese.
La sinistra del Labour dovrà sopravvivere alla minaccia incarnata dalle regole antisocialiste, perché la trasformazione del partito rimanga possibile. Il campo di battaglia chiave saranno le regole e l’elettorato delle future elezioni per la leadership. Jeremy Corbyn riuscì a entrare nella competizione del 2015 per il rotto della cuffia perché dei parlamentari che non lo sostenevano gli permisero di candidarsi per ampliare il dibattito.
Sotto il suo mandato, la capacità dei parlamentari di bloccare le candidature fu ulteriormente ridotta, ora è estremamente probabile che la destra Labour proverà a rinstaurare il primato dei parlamentari nella selezione futura dei leader di partito, tornando alla soglia precedente o al sistema dei collegi, che attribuiscono al voto di un parlamentare lo stesso peso di 2500 iscritti al partito.
Tali cambiamenti potrebbero precludere il Labour come veicolo futuro del cambiamento progressista, per non parlare di avanzamenti socialisti. Svuotati di qualsiasi carica trasformatrice, i partiti socialdemocratici stanno affondando in tutta Europa, il Labour non deve seguirne la stessa sorte. La strada per i socialisti nel Labour è un cammino irto di pericoli – ma ciò non deve indurci a disperare.
La maggioranza degli iscritti sostiene le politiche progressiste. I sindacati continuano ad ancorare il partito nella classe lavoratrice e sono guidati da sinistra, che mantiene un monopolio virtuale su nuove idee e approcci alle politiche, mentre gli antisocialisti non hanno prodotto alcunché da anni. Il recente discorso di Starmer, annunciato in pompa magna come la base intellettuale per la socialdemocrazia degli anni ’20, mostra la vacuità del loro arsenale di politiche: una proposta di convertire i prestiti alle imprese durante la pandemia in prestiti come quelli studenteschi, titoli di debito per il ceto medio di risparmiatori da investire nella ripresa.
Per cambiare la linea della leadership, difficilmente avremo successo contrattandovi dietro le quinte. Potremmo piuttosto rafforzare il nucleo di proposte ereditate da Corbyn che Starmer si era impegnato inizialmente a rispettare, trasformandole in mozioni al congresso e riattualizzandole nel linguaggio dell’era pandemica. Sono proposte su cui convergono la stragrande maggioranza degli iscritti e dei sindacalisti, nonché della popolazione, pertanto la leadership difficilmente potrà abbandonarle.
Potremmo inoltre essere nel partito i portabandiera delle richieste avanzate dai movimenti, come avvenuto nel 2019, quando gli iscritti condussero la leadership ad assumere una posizione più avanzata in tema ambientale, mettendo in agenda le politiche climatiche. Ed è imperativo che i socialisti imbriglino l’organizzazione di base per sfidare il partito nella rappresentazione delle soluzioni di cui abbiamo bisogno per affrontare efficacemente le crisi che fronteggiamo.
Per raggiungere quanto detto, i socialisti devono organizzarsi. Più facile a dirsi che a farsi, la sinistra del Labour sa essere litigiosa. Per quanto Corbyn fosse capace di unire gran parte della sinistra, quest’unità era istituzionalmente debole, tenuta insieme dalle idee piuttosto che dall’organizzazione.
Per vincere la decade degli anni ’20, le parti costitutive del nostro movimento – parlamentari, attivisti di base, sindacati e movimenti sociali – devono fare rete. Propongo quindi che formino un’alleanza formale, che non ne limiti l’autonomia ma che ne coordini le attività, condivida informazioni e sviluppi campagne. Una volta stabilita, l’alleanza potrebbe estendersi anche ad altre componenti della sinistra. Il prezzo di una superiore coordinazione e organizzazione per i socialisti nel partito è grande, ma solo così influenzeremo le politiche, le elezioni interne e la selezione dei candidati.
Il bisogno nella società è sempre più pressante. Da quando Starmer è leader, le prospettive socialiste vengono affrontate molto meno frequentemente nel dibattito pubblico. La leadership Labour ha compiuto una scelta consapevole di non articolare una visione di come dovremmo cambiare la società dopo la pandemia.
I socialisti non dovrebbero gioire per quest’abdicazione alla responsabilità, né dobbiamo lasciare il partito. Starmer ha dichiarato che la pandemia cambia “ciò che è necessario e ciò che è possibile” ma si rifiuta di dire come. Se i socialisti non articolano questo al posto suo, il dibattito pubblico seguirà il traffico proveniente da destra, come in seguito alla crisi finanziaria.
I socialisti non possono disertare il momento. Alcuni troveranno impossibile rimanere iscritti e troveranno altri modi per rimanere attivi nei movimenti. Ma quelli che rimangono dovrebbero cercare di rivelare le due più grandi forse del partito: il supporto degli iscritti per le politiche progressiste e il suo legame vitale con i sindacati. Se falliamo, il Labour rimarrò un partito che cerca di amministrare un sistema rotto e non diventerà una forza capace di trasformarlo.
Un cambiamento di simile portata richiede di più che potenti movimenti, di più che un partito capace di farsene bandiera. Avremo bisogno di qualcosa che è mancato al Corbynismo: un’analisi socialista dello Stato. Ne presenterò una, nella speranza che quando i socialisti vinceranno le elezioni, non saremo solo in carica, ma anche al potere.

